lunedì 17 ottobre 2016

A passo d'uomo 1.0 studio per geografie umane



Riscoprirsi procedendo a passo d'uomo

recensione di Felice Ferrara
 


In un mondo dove l'azione intensa e continua dei mass media e della tecnologia ci immettono sempre più in uno spazio dilatato, portandoci immagini, parole, usi e costumi da tutto il mondo, trasportandoci in un attimo da un continente all'altro, ora con una notizia su una qualche guerra, ora con un video di qualche posto lontano, cosa significa procedere invece a passo d'uomo? Significa anzitutto fermarsi e riportare lo sguardo su di noi e su ciò che abbiamo vicino. E significa porsi una domanda: a chi e a che cosa apparteniamo veramente? La cosa sorprendente è che difficilmente troveremo una risposta. Se le innovazioni nei trasporti e nelle comunicazioni ci hanno fatto conquistare uno sguardo sulle realtà più distanti, abbiamo nello stesso tempo perso la capacità di procedere a passo d'uomo, ovvero a quella andatura che dovrebbe esserci propria, e spesso la possibilità di integrarci con quello che abbiamo intorno costruendoci una nostra specifica identità, al di là di ciò che rimbomba nei media.
Alla luce di questa riflessione appare dunque urgente e necessario il progetto sviluppato da Campo Teatrale con il contributo della Fondazione Cariplo, una ricerca condotta nell'arco di un biennio tramite incontri, interviste, laboratori di aggregazione tra persone e raccolta di storie e racconti volti a restituire a chi abita il quartiere Casoretto di Milano un volto e un'immagine condivisa. Una sorta di azione controcorrente per tentare di recuperare l'idea di vita in un ambiente comune dove sia ancora possibile creare legami e trovare una ragione di condivisione

 
Questo intenso lavoro condotto da Caterina Scalenghe e Lia Gallo ha portato alla stesura di vari monologhi affidati all'interpretazione della brava ed intensa Livia Bonetti e portati in scena nei luoghi del quartiere, bar, botteghe e negozi, rispolverando storie e ricordi di chi ha vissuto il Casoretto e consegnandoli così a una consapevolezza collettiva che possa ricementare un senso di appartenenza comune.
La tappa finale di questo percorso ha trovato posto nel teatro di Campo Teatrale, ancora un luogo del quartiere, con uno spettacolo che tenta una sintesi del lavoro svolto e insieme una riflessione più generale sulla realtà attuale, allargando il discorso dal quartiere di Casoretto ad ogni quartiere di ogni città.

In scena tre angeli che sembrano aver perso il loro candore, forse perché sporcati dal cinismo della metropoli che abitano o forse perché non più tanto certi dell'importanza della loro funzione: custodire la memoria di ogni gesto e ogni parola di chi vive e ha vissuto quei luoghi, una memoria dalla voce sempre più flebile o sempre più inascoltata nella mente delle persone. Tre personaggi dunque resi fragili da un tempo che passa e sembra portare più deterioramento che rinnovamento, e spargere più bruttura che bellezza, per ricreare una realtà ormai difficile da comprendere. I quartieri si popolano infatti di parole e comportamenti che poco hanno a che fare con l'identità del passato e chi arriva non cerca una integrazione, non ascolta e non si sofferma su nulla, ma porta avanti la propria vita con una certa indifferenza verso ciò che lo ha preceduto e verso che ciò che potrebbe trovare vicino.
Colpisce in scena l'idea di rendere invisibile il concreto, ovvero la città e le persone del quartiere, e viceversa visibile l'invisibile, ovvero la memoria custodita dai tre angeli, con la splendida immagine delle gocce d'acqua che cadono lentamente in una pozza da cui attingono i tre personaggi, sempre intenti a travasare questi ricordi e queste parole liquide da un vasetto all'altro, con un lavoro continuo che rende la difficoltà dell'impresa. E ancora funziona l'incastro di tre personaggi che, pur svolgendo lo stesso compito, si differenziano nettamente tra loro, con un angelo più mite e comprensivo, ancora capace di uno sguardo positivo, uno al contrario esasperato e riottoso, e infine uno taciturno e riflessivo che si esprime solo attraverso la sua musica.
A questo si alternano momenti di proiezioni di filmati e interviste.
A passo d'uomo è dunque uno spettacolo dal testo poetico e ben interpretato, dotato di immagini suggestive e capace di porre quesiti semplici ma fortemente necessari.

 A PASSO D'UOMO 1.0
STUDIO PER GEOGRAFIE UMANE 



Regia Caterina Scalenghe
Drammaturgia Collettiva
Con Lia Gallo, Livia Bonetti
Musica dal vivo Orazio Attanasio
Videoproiezioni Michele Ciardulli
Foto Gaia Mattioli
Un grazie particolare a Gianluigi Gherzi
Produzione Campo Teatrale
Con il contributo di Fondazione Cariplo


 Visto a Milano presso Campo Teatrale l'8 ottobre 2016

giovedì 2 giugno 2016

La Sirenetta, Eco di fondo alla ricerca delle identità sommerse



Eco di Fondo rilegge la Sirenetta


recensione di Felice Carlo Ferrara

Dopo un lungo percorso creativo, cominciato nell’estate del 2015 e con una prima tappa raggiunta in autunno, con la presentazione di 20 minuti in occasione di Next – laboratorio delle idee, il nuovo lavoro della compagnia Eco di Fondo, coprodotto con Campo Teatrale e diretto da Giacomo Ferraù, ha infine debuttato, registrando un ottimo riscontro di pubblico.
Con La sirenetta, la compagnia, già da tempo orientata su temi urgenti come l’eutanasia (Orfeo e Euridice) e l’emigrazione (Verso Oz), ci parla di omosessualità, o meglio del sentirsi omosessuali in un universo omofobo, concentrandosi in particolare sui destini più tragici, su quelle vittime che sono arrivate a vedere nel suicidio l’unico rimedio possibile al proprio dolore. Non lo fa in termini espliciti ed immediati, ma tramite un gioco metaforico, che trova ispirazione nella celebre eroina di Andersen, la sirena innamorata di un uomo, ma destinata alla solitudine per una coda di pesce che la rende diversa dagli altri esseri umani. Proprio il riferimento alla fiaba permette al tema di allargarsi al più grande campo della diversità, acquisendo un tono universale e toccando così il cuore di ognuno. Giova inoltre la scelta di non concentrarsi tanto sulle ideologie, ma di mostrare piuttosto il dolore vissuto da chi si sente diverso dagli altri e si vede così escluso dalla condivisione con le persone più prossime, a partire dagli stessi componenti della propria famiglia. Basta infatti un assaggio di questa sofferenza per sentirsi più aperti alla solidarietà e alla compassione, sentimenti che potrebbero legarci al di là di ogni differenza. Quanto inutile appare l’aggressione omofoba, quando l’esistenza di chi si vede segnato come diverso, appare già così spietata!
In parallelo alla storia della sirena, inoltre, Eco di Fondo sviluppa una storia d’amore scherzosamente fuori dagli schemi con un Ken che, in barba alla preconfezionata relazione con Barbie per la quale sarebbe stato fabbricato, finisce per innamorarsi di un orsacchiotto di pezza, generando così nella società dei giocattoli ogni sorta di reazione, dallo smarrimento, al panico, dal disgusto, allo sdegno, in una sorta di esilarante parodia (resa con brillantezza da un formidabile Riccardo Buffonini) di certi sterili dibattiti che si consumano spesso sul tema. Ed anche questa piccola storia, pur nei suoi toni grotteschi, contribuisce all’atmosfera amara dello spettacolo, chiudendosi con un Ken, che, messo alle strette, decide infine di rinunciare ai suoi sentimenti più autentici per ritornare al suo ruolo prestabilito, abbandonando così un costernato orsetto.
Sarebbero sufficienti queste considerazioni per apprezzare lo spettacolo, ma all’efficacia e alla bontà dei messaggi veicolati, si aggiungono capacità interpretative non comuni, una grande sensibilità nella scrittura scenica e infine una regia capace di incantare e di emozionare in ogni momento. Notevole l’uso delle sagome per la prima parte, utile non solo ai fini narrativi (un gioco d’ombre permette di dilatare la dimensione dei genitori rispetto al bambino), ma anche per dare un’impronta nostalgica a tutto il racconto. Sorprendente la resa dell’ambiente marino tramite semplici mezzi e di grande significato l’immagine dei sirenetti dai volti coperti, costretti a celare la propria sessualità, e, quindi, la propria identità. E di grande impatto, infine, la scena dalla strega del mare, in cui la rinuncia della propria voce, ovvero della verità sui propri sentimenti, è rappresentata come una violenza drammatica sulla propria persona.
Uno spettacolo poetico, emozionante e fortemente consigliato, che sarà possibile recuperare presto al teatro Elfo Puccini di Milano.



LA SIRENETTA
Eco di fondo
regia Giacomo Ferraù
con la collaborazione registica di Arturo Cirillo
drammaturgia Giacomo Ferraù e Giulia Viana
con Riccardo Buffonini, Giacomo Ferraù, Libero Stelluti, Giulia Viana
assistenti alla regia Piera Mungiguerra e Simon Waldvogel
disegno luci Giuliano Almerighi
coordinamento coreografico Riccardo Olivier
organizzazione Elisa Binda
produzione Eco di fondo in coproduzione con Campo Teatrale
con la collaborazione di LAB121
ringraziamenti Francesca Angelicchio, Marcela Serli e Daniele Sala

visto a Milano presso Campo Teatrale il 28 maggio 2016 

lunedì 9 maggio 2016

Festival Segnali 2016



Una vetrina per il teatro ragazzi a Milano e a Cormano
di Felice Carlo Ferrara

Dal 4 al 6 maggio si è svolta la XXVII edizione del Festival Segnali, storica rassegna di teatro per ragazzi e spesso contenitore delle migliori novità nel settore.

Nella stanza di Max di Bàbu teatro danza,
Associazione Sosta Palmizi, Associazione Cà Rossa

con il sostegno di Unicef Bologna e il contributo del Comune di Bologna
 autori: Elisabetta di Terlizzi, Francesco Manenti,
Daina Pignatti e Laura Tondelli 
interpreti Elisabetta di Terlizzi, Francesco Manenti,
Daina Pignatti, Emanuel Rosenberg
costumi Laura Pennisi e Oro-Nero Creazioni Modena

L'apertura è stata assegnata allo spettacolo Nella stanza di Max di Babù Teatro Danza, Associazione Sosta Palmizi, Associazione Cà Rossa. Liberamente ispirato al celebre libro di Maurice Sendak, Nel paese dei mostri selvaggi, ha per protagonista un bambino che, nello spazio circoscritto della sua cameretta, compie un viaggio immaginario scandito da incontri con creature bizzarre con le quali impara a confrontarsi. Lo spettacolo si compone di una serie di quadri in cui sfilano personaggi sempre diversi, in un crescendo di visionarietà. Si comincia così con l'animarsi degli oggetti della camera, un tavolo, una lampada, il letto, finché lo spazio rassicurante della stanzetta non sembra dissolversi, per ricomporsi in ambienti ogni volta più misteriosi: una foresta popolata da silenziose sentinelle, il mare con i suoi vortici travolgenti e infine una terra abitata da mostri. La scelta del teatro danza, nonché di un registro registico di grande semplicità, con coreografie e scene essenziali riempite da costumi invece suntuosi e di grande effetto, rende lo spettacolo molto fruibile anche da un pubblico in età prescolare. Non ne guadagna l'aspetto contenutistico. Difficile associare la visione al tema guida scelto dai creatori per questo progetto, ovvero i diritti per l'infanzia, probabilmente anche per la convenzionalitá della struttura narrativa, già alla base di tanti spettacoli molto simili, ma tesi a svolgere altri temi. A parte questo aspetto, tuttavia, Nella stanza di Max rimane un prodotto godibile e di buon livello.

Gli equilibristi di Teatro dell’argine
di Valentina Kastlunger, Pietro Floridia, Andrea Paolucci
con Caterina Bartoletti, Lorenzo Cimmino,
Giovanni Malaguti, Ida Strizzi
coreografie di Mario Coccetti
collaborazione musicale: Andrea Rizzi
scena di Nicola Bruschi, Andrea Gadda, Gabriele Silva
regia di Andrea Paolucci

Dedicato agli adolescenti, invece, Gli equilibristi, prodotto da Teatro dell'argine. Lo spettacolo nell'arco di un'ora racconta la giornata tipo di quattro teenager e ne sintetizza, nello stesso tempo, un anno scolastico, drammatizzando le situazioni più tipiche e comuni del mondo degli adolescenti attraverso un linguaggio grottesco. Pregio di questa gradevolissima produzione, dal ritmo molto riuscito, è una regia creativa e spensierata, capace di giocare con gli oggetti scenici in modo semplice ma brillante, e sostenuta peraltro da una drammaturgia intelligente e ironica. A ciò si aggiunge il talento di tutti gli interpreti, che riescono a ritrarre quattro prototipi classici di teenager, dotandoli di un giusto spessore, pur cavalcando con gusto lo stile grottesco della produzione.
Gioca inoltre un ruolo quasi principale il dato sonoro, curato da Andrea Rizzi, che intreccia motivi molto noti e infarcisce lo spettacolo di gag sonore dal sapore fumettistico, molto adatto allo spettacolo.

 Smartstone di Elsinor
Con Michele Cremaschi, Giuditta Mingucci
Regia e Multimedia programming Michele Cremaschi

Gusto molto pop anche per la nuovissima produzione Elsinor, Smartstone, in cui, con tono scanzonato e parodistico, si ripercorre la storia evolutiva dell'uomo, dalla preistoria attraverso le tappe più note, l'invenzione dei primi utensili, la scoperta del fuoco e lo studio delle stelle, fino a che l'ingresso di un oggetto chiaramente riconducibile ai nostri smartphone, non sembra vanificare tutto il percorso svolto, offrendoci una tale quantità di servizi e catturando tanto l'attenzione dell'uomo, da impoverire anziché arricchire la sua esperienza di vita. Coerentemente col tema scelto, la produzione si caratterizza soprattutto per un gioco complesso di videoproiezioni, con effetti anche interattivi e una grafica smaccatamente fumettistica.
La costruzione dello spettacolo tramite una lunga catena di gag, si presta ad una visione molto scanzonata da parte di un pubblico dalla fascia di età piuttosto vasta, dalle elementari alle medie. Divertimento assicurato anche grazie all'ottima performance dei due interpreti, Michele Cremaschi (anche regista) e Giuditta Mingucci. La scelta del tono fumettistico-televisivo sacrifica forse troppo l'aspetto didattico, soprattutto per la fascia dagli 11 anni in su, per i quali era possibile sviluppare maggiormente un tema tanto attuale quanto urgente. Rimane ad ogni modo uno spettacolo ricco, soprattutto nelle soluzioni registiche.

Me & Te di La città del Teatro Sipario Toscana
di Maria Grazia Cassalia e Donatella Diamanti
con Annalisa Cima e Stefano Tognarelli 
regia Letizia Pardi 
scene Riccardo Gargiulo costumi Cinzia Landucci 
audio e luci Fabio Giommarelli

Mentre Smartstone sceglie il paradosso rappresentando la modernità attraverso un mondo primitivo, Me &Te, prodotto da La città del Teatro Sipario Toscana, parla invece del mondo degli adolescenti in modo anche troppo ovvio, costruendo una commedia intorno a un nucleo familiare con al centro un ragazzo innamorato timido e pieno di dubbi, piuttosto lontano, si direbbe, dalla odierna società del sesso facile. Per quanto lo spettacolo riesca ad inanellare qualche buona gag, si respira per tutto il tempo un'atmosfera stantia, in parte per la ripresa di formule narrative e registiche dal teatro borghese, in parte per una visione  troppa ingenua e semplicistica della realtà. Inoltre l'ampio spazio dedicato alla descrizione della vita matrimoniale con tutti i suoi cliché, condivisibili ma comunque ovvi, fa sì che la commedia ammicchi al pubblico adulto molto più che a quello degli adolescenti. Non a caso, del resto, la regia si affida di continuo a canzoni del passato, con classici degli anni '60 e '80, dimostrando uno spirito nostalgico e palesando così scarso interesse verso la realtà attuale.

Zac colpito al cuore di Il Laborincolo, PaneDentiTeatro, ATGTP
Di: Marco Lucci, Enrico De Meo, Simone Guerro
Con: Marco Lucci, Enrico De Meo
Muppets e burattini: Marco Lucci
Scenografie: Frediano Brandetti 
Regia: Simone Guerro Musiche: Simone Guerro

Dopo una celebrazione del ventennale di Barbablù di Pandemonium Teatro, il festival ha dato spazio alla rivista Eolo diretta da Mario Bianchi e ai suoi premi per il teatro ragazzi, quest'anno assegnati per la carriera a Eugenio Monti Colla (del Teatro Colla) e a Carlo Formigoni (fondatore del Teatro del Sole a Milano e più di recente in puglia del Teatro Kismet e del Cerchiomdi Gesso), al progetto di formazione Fare teatro a scuola secondo noi ideato da Silvia Colle e Lucia Vinzi per l'Ente regionale Teatrale del Friuli e infine agli apprezzatissimi Out di Unterwasser, Zac colpito al cuore! di Atg Teatro Pirata, Il Laborincolo e PaneDentiTeatro, Fa'afafine dello Stabile di Palermo e H+G di Teatropersona.

Raperonzolo, il canto del crescere di Teatro del Buratto
Con Cristina Liparoto e Sara Milani
Regia di Renata Coluccini
Scene Michelangelo Campanale
Disegno Luci Marco Zennaro

Ritorno alle fiabe, invece, per il Buratto che ha presentato Raperonzolo, il canto del crescere. Più che rielaborare il testo dei Grimm, la regista Renata Coluccini sembra interessarsi maggiormente alla recente produzione disneyana, riprendendone temi, situazioni narrative e caratterizzazioni dei personaggi, senza tuttavia raggiungere la stessa efficacia del film d'animazione, soprattutto per quel che riguarda lo sviluppo dei contenuti pedagogici. La necessità della conquista di una propria autonomia e la difficoltà del passaggio dal mondo protetto della famiglia a quello esterno erano infatti percorsi tematici svolti con maggior maggior complessità e profondità nel riuscito film Disney. Raperonzolo, il canto del crescere rimane nondimeno uno spettacolo affascinante, grazie soprattutto ad un suggestivo disegno luci e a un impianto scenografico molto riuscito.

L'audaci imprese - Supereroi in endecasillabi di Teatro del perché
a cura di e con: Andrea Pinna e Valentina Scuderi

Molto più semplice in termini produttivi, ma al contempo più ambizioso il progetto di Teatro del perché, che con L'audaci imprese - Supereroi in endecasillabi si mette alla prova in alcune delle ottave più celebri della storia della nostra letteratura. I bravissimi Valentina Scuderi e Andrea Pinna, infatti, interpretano con grande energia e coinvolgimento brani dall'Orlando Furioso e dalla Gerusalemme Liberata, affidandosi unicamente alla propria voce e alla propria corporeità. Soli oggetti in scena due bastoni fluorescenti che rimandano alle spade dei paladini e nel contempo ci riportano nel mondo di Star Wars. Alla base dello spettacolo, infatti, c'è l'idea che si possa suggerire ai ragazzi odierni un paragone tra le iperboliche imprese degli eroi epici e le forze estreme dei supereroi odierni, diminuendo così quella distanza tra i celebri poemi e il nostro immaginario moderno, distanza che spesso è più dovuta al pregiudizio che reale. Nello stesso tempo i due attori non commettono l'errore di limitare tutto a una lettura ironica e parodistica del testo, ma si concedono comunque momenti di reale coinvolgimento emotivo lì dove i versi dell'Ariosto e soprattutto del Tasso raggiungono i loro vertici lirici.

Cinema Paradiso di Ass. Cult. Tra il dire e il fare/ 
Compagnia La luna nel letto / Teatri Abitati - Residenza di Ruvo di P. 
In collaborazione con la Scuola di Danza Artinscena
regia luci e scene Michelangelo Campanale
con Giuseppe Di Puppo, Annarita De Michele, Erica Di Carlo, Paolo Gubello, Daniele Lasorsa, Leonard Lesa- ge, Salvatore Marci, Maria Pascale, Palmiriana Sibilia, Luigi Tagliente
supervisione coreografica Aline Nari
cura del testo Katia Scarimbolo
costumi Maria Pascale
video omaggio agli addii Mario Bianchi
video Ines Cattabriga, Michelangelo Campanale

Il festival Segnali si è chiuso infine con Cinema Paradiso, splendido omaggio al cinema prodotto da La Luna nel letto e firmato da un impeccabile Michelangelo Campanale. Al centro, tra i sedili polverosi di una vecchia sala cinematografica, Totò, un bambino che richiama evidentemente il protagonista del capolavoro di Tornatore, e che osserva stupito sfilare alcune icone della settima arte, da Charlie Chaplin a Mary Poppins, da Marilyn Monroe a Spiderman. Unendo interpretazioni attorali, momenti di teatro danza e videoproiezioni, Campanale realizza un incantevole viaggio nel mondo del cinema, descrivendolo come romantica evasione dalla realtà, capace di stupire, divertire, emozionare. E se il tema avrebbe fatto prevedere un forte utilizzo di proiezioni, il regista riesce invece a mantenere come strumento cardine il linguaggio teatrale, appoggiandosi soprattutto a un complesso e ricchissimo disegno luci. Il risultato è una serie di quadri molto suggestivi, in cui si alternano momenti leggeri ad altri più malinconici in cui si esplora il tema dell'abbandono.

martedì 15 marzo 2016

Qu4ttro. Il gioco delle amicizie in scena

Qu4ttro. Campo Teatrale porta in scena il gioco dell'amicizia.

recensione di Felice Carlo Ferrara





Quattro persone, legate in passato da una forte amicizia, si ritrovano dopo molti anni, allarmate dallo stato di salute di uno di loro; questo, dopo un misterioso incidente, accusa una perdita della memoria più recente, ritrovandosi così a vivere come fossero ancora gli anni della loro giovinezza. Il gruppo decide di sottostare al gioco, rispolverando ricordi e ricostruendo relazioni che andavano ormai indebolendosi, e riportando infine alla luce anche quanto che si preferiva dimenticare…



Gli anni giovanili sono spesso caratterizzati dai rapporti di amicizia e dalla vita di gruppo. Cosa ne è di queste relazioni nel tempo?
Lo scorrere degli anni porta cambiamenti, le identità individuali maturano a scapito delle dinamiche di gruppo e si creano distanze spaziali che si mutano facilmente in distanze affettive. I legami, inevitabilmente, si allentano.
La nuova produzione di Campo Teatrale analizza questi temi, focalizzandosi in particolare sul concetto chiave di regola. Le regole sono le basi di ogni gioco di società e, in generale, i principi che tengono unito ogni gruppo. Ecco dunque una compagnia di amici descritta come un meccanismo regolato da norme precise e determinate. Regole stabilite per la sussistenza stessa della collettività, regole per cementare i membri in un gruppo che si vorrebbe solido e immutabile.
Le persone, tuttavia, non sono poi così paragonabili alle pedine di un gioco, fisse e sempre uguali a se stesse. Il cambiamento è un elemento imprescindibile dell’uomo. Ecco quindi che quelle regole, se troppo rigide, possono danneggiare la maturazione dell'individuo fino a condurre ad una drammatica degenerazione.



Qu4ttro è uno spettacolo costruito su un crescendo drammatico particolarmente riuscito, in cui ogni personaggio risulta perfettamente incastrato in un meccanismo lucido e ben ragionato.
Pregio maggiore del lavoro è certamente la regia. Dopo l’elaborato La mia bara compratela all’Ikea, la compagnia Campo Teatrale mostra ancora la sua vocazione alla sperimentazione sul linguaggio, con uno spettacolo estremamente ricco di immagini e soluzioni visive spesso sorprendenti.
Quattro è infatti un lavoro tutto impostato sulla ricerca visiva, basato su una interazione degli attori sempre diversa con gli elementi della scena –assi, architravi e cubi di legno dall’estetica molto algida- e con un uso delle luci estremamente espressivo e ricercato. Ne risulta una successione di quadri suggestivi e dal sapore onirico, capaci di incorniciare in una atmosfera sospesa ed evocativa anche dialoghi dal sapore quotidiano.
Regia dunque molto lodevole, ottimo disegno luci e interpretazioni sincere.
Consigliato.



Qu4ttro
regia Donato Nubile, Marco Colombo Bolla
drammaturgia Tobia Rossi, Donato Nubile, Marco Colombo Bolla
con Donato Nubile, Lara Tomasi, Marco Colombo Bolla, Marta Annoni
scene Lucia Rho e Luca Negri
produzione Campo Teatrale

Visto il 12/3/2016 presso Campo Teatrale di Milano.

martedì 16 febbraio 2016

Don Chisciotte - commedia pop



Al Verdi un Don Chisciotte con tanta anima

 recensione di Felice Carlo Ferrara


In una trattoria una cameriera e due ragazzi in blu jeans ascoltano distrattamente la radiocronaca dello storico sbarco sulla luna. Siamo dunque nell'estate del 1969, eppure proprio in questa scena irrompono Don Chisciotte e Sancio Panza nel loro aspetto più tradizionale, quasi sbalzassero direttamente dalle illustrazioni di una vecchia edizione polverosa. Con questo eclatante effetto anacronistico lo spettacolo di Emilio Russo sin dall'inizio rende al pubblico il nodo forse più cruciale del capolavoro di Cervantes. La caratterista principale del suo protagonista è infatti quella di arrivare in netto ritardo rispetto ai tempi e di alimentarsi di ideali tramontati da secoli e vividi ormai solo nel cuore nostalgico di alcuni poeti. I grandi valori della civiltà cortese, la lealtà, la generosità, e la devozione per la donna amata suonano ormai ridicoli in una società cinica e disincantata come quella della Spagna del 600 e come la nostra, dove a guidarci sono solo la fame, il sesso, il denaro, e, in definitiva, i bisogni primari. Non c'è più spazio per lo spirito, perché non si crede più che alla materia, a quanto si può concretamente vedere e toccare. E ai nostri occhi Don Chisciotte non è che un uomo anziano e malconcio, ben lontano dalla forza e dalla bellezza degli antichi cavalieri. E del resto quale uomo avrebbe davvero le qualità iperboliche di un Orlando? Come non ridere allora del pretenzioso slancio di un semplice uomo verso grandi imprese e della sua ferma fiducia in una futura gloria?



E, tuttavia, sotto gli sghignazzamenti per il misero antieroe, continua a scorrere la radiocronaca dell'allunaggio. Lo sbarco sul nostro pallido satellite non riecheggia forse una delle imprese cavalleresche più famose? Se il nostro sguardo è rivolto sempre verso la terra e la sua polvere, ciò non vuol dire che qualcuno talvolta non sollevi lo sguardo verso il cielo per dimostrarci che è possibile superare i propri limiti. E’ allora che le nostre prospettive dovrebbero capovolgersi. Forse il sogno di una maggiore grandezza per l’umanità non è così folle; forse la vera follia dell’uomo è la rinuncia ad una dignità superiore.
Don Chisciotte, pur uscendo sempre sconfitto nell’inevitabile scontro tra il sogno e la realtà, acquista in realtà passo dopo passo una statura sempre maggiore ai nostri occhi, e questo perché ciò che riesce a vedere con la profondità del suo cuore ha certo un fascino e una bellezza che la nostra visione cinica e materialistica non avrà mai.  
Così si comprende infine che la lezione di Cervantes non consiste tanto in una parodia del mondo cavalleresco e dei suoi miti, quanto in una critica amara e dura verso una visione della realtà troppo concreta e disincantata.
La chiamata di Don Chisciotte alle gesta eroiche non è il grido di un folle ma una incitazione a credere realmente nella grandezza dell'uomo.



Non è facile portare sulla scena grandi capolavori della letteratura. Emilio Russo, tuttavia, rielabora il testo con intelligenza e consapevolezza, e conduce lo spettacolo nella giusta direzione, arrivando infine a farci assaggiare il cuore dell’opera, dandoci materia di riflessione e, nello stesso tempo, divertendo e poi emozionando il pubblico. Ad intervallare ogni scena un trio di talentuosi cantanti e musicisti: Helena Hellwig, Enrico Ballardini e Riccardo Dell’Orfano.
Vera forza dello spettacolo, tuttavia, sono i due protagonisti: Alarico Salaroli e Marco Balbi, perfettamente calati nei rispettivi ruoli di Don Chisciotte e Sancio Panza. I due bravissimi attori non solo hanno quell’istrionismo carismatico capace di entusiasmare e trascinare ogni spettatore, ma anche quella profondità d’animo indispensabile per dare vero spessore a due grandi personaggi come quelli ritratti da Cervantes. Nei loro sguardi e nelle loro parole possono convivere folle euforia e triste malinconia, duro sarcasmo e affettuosa ammirazione, comicità e tragedia, satira distruttiva e poesia alta e carica di dignità. Tutte le grandi contraddizioni necessarie per dare ad una interpretazione tanta anima.
Consigliatissimo.




DON CHISCIOTTE - OPERA POP
da Miguel De Cervantes; 
con Alarico Salaroli, Marco Balbi e Helena Hellwig, Enrico Ballardini, Riccardo Dell'Orfano; 
musiche Alessandro Nidi; 
costumi: Pamela Aicardi
regia e drammaturgia Emilio Russo
Produzione Tieffe Teatro Milano



Visto al Teatro Verdi di Milano l'11 febbraio 2016

mercoledì 10 febbraio 2016

Gigio Brunello porta la sua Trilogia al Verdi di Milano



Gigio Brunello per If Festival
TRILOGIA TEATRO SOPRA LA CITTA’




Gigio Brunello ritorna al Teatro Verdi per la nona edizione di If Festival dopo il successo di Macbeth all’improvviso del novembre 2010. Tre serate consecutive presentano una trilogia su Mestre, «una trilogia sulla città che cambia nel tempo» composta dagli spettacoli Vite senza fine del 2007 – Teste calde del 2011 e Lumi dall’alto del 2013, nati da una collaborazione con Gyula Molnar.
In Vite senza fine l’accento è posto sul mondo operaio e sul lavoro pratico, Teste calde prende spunto da due episodi della Mestre risorgimentale e Lumi dall’alto fa rivivere la storia della comunità albanese di Mestre.
Un percorso artistico di ricostruzione della memoria cittadina attraverso una straordinaria potenza poetica ed evocativa, raccontato con il fascino insolito e innovativo del teatro di figura.
Un cammino autonomo e autorevole quello del burattinaio veneto Brunello all’interno del teatro di figura italiano che lo ha portato ad allontanarsi dagli stereotipi del teatro dei burattini per conferirgli una forte umanità; sul palcoscenico  interagisce, convive e colloquia con i protagonisti, piccole statuine da lui stesso scolpite che a loro volta amano, soffrono, si meravigliano … vivono!        

«Nel 2007 mi venne chiesto dal Comune di Venezia uno spettacolo sul mondo operaio nel territorio", racconta Gigio Brunello, "Pensai di scrivere una storia che avesse al centro  il lavoro pratico, il sapere analogico antecedente e opposto al digitale, un mondo nel quale il lavoro significava ‘mani’ e la risoluzione di un problema significava smontare-aggiustare-rimontare. Io sono cresciuto in un quartiere operaio a ridosso di Porto Marghera e mio padre era un operaio che  sapeva - se necessario - aggiustare anche le ali alle mosche. Così scrissi Vite senza fine.         
Poi, in occasione dei centocinquantanni dell’Unità d’Italia ho voluto rivedere quei luoghi com’erano all’epoca del Risorgimento, prima delle fabbriche e della grande trasformazione novecentesca. Così ho scritto uno spettacolo -Teste calde - non su Porto Marghera ma su Forte Marghera con i patrioti volontari giunti da tutta Europa a difendere la Repubblica del 1848 tra i canali e le barene del mestrino.          
Infine nel 2013 mi è stato chiaro che quello era un percorso che stavo facendo, mancava la descrizione della Mestre di oggi, quella dei migranti e delle tante lingue. Così avrei realizzato una trilogia sulla città che cambia nel tempo. E’ nato Lumi dall’alto.»



Gli spettacoli andranno in scena al Verdi di Milano per tre giorni consecutivi:  
18 febbraio  - VITE SENZA FINE. Storie operaie del novecento  
19 febbraio -  TESTE CALDE. Storie della sortita        
20 febbraio -  LUMI DALL’ALTO. Corse clandestine in città


VITE SENZA FINE. Storie operaie del novecento
Di Gigio Brunello e Gyula Molnar
In scena Gigio Brunello - Sculture di Gigio Brunello
Scenofonia di Lorenzo Brutti
Musiche originali di Gigio Brunello eseguite da David Boato (tromba), Rosa Brunello (contrabbasso) e Marco Ponchiroli (pianoforte)

Sopra un lungo tavolo, simile a quelli delle feste popolari, è immaginato un quartiere operaio di Mestre. Ci sono le case, la chiesa, il filare di pioppi e gli abitanti che appaiono come statuine di un presepio laico. La tovaglia di carta è il piazzale asfaltato e allo stesso tempo lo schermo del cinema all’aperto, ma anche un gran foglio di quaderno disseminato di calcoli, scarabocchi e schizzi preparatori.           
E questo perché l’anima di tutte le storie dello spettacolo è la meccanica, la curiosità che riempie il tempo inseguendo carrucole, leve, ruote azionate dal vento o dall’acqua cui affidare un pensiero, un verso, una frase che non si fermi.


Essenzialmente, è un principio della fisica ciò che sembra regolare l’esistenza degli abitanti del Villaggio San Marco e degli operai di Porto Marghera e del Petrolchimico: i protagonisti di questo spettacolo. Così come l’ingranaggio infinito della vite in questione genera un continuo movimento che si ripercuote sull’intera chincaglieria meccanica, ogni esistenza umana si riflette su quella degli altri: Gigio Brunello, in Vite senza fine mette in scena, o meglio, mette in “vita”, il concetto di comunità. Il turnista, il meccanico, il postino, l’infermiera, il maresciallo, l’elettricista, il prete, l’ingegnere: vite di paese, forse anche da strapaese, ma che effettivamente si intersecano l’una con l’altra in quel clima perso nel tempo di quando ci si conosceva un po’ tutti. E poi ci racconta anche un’altra cosa: il lavoro pratico. Vite senza fine è un bell’ amarcord, elegia di un mondo analogico, antecedente e opposto al digitale: un mondo nel quale il lavoro significava “mani”, senza falsa retorica dietrologista, e la risoluzione di un problema significava “smontare-aggiustare-rimontare”. Non algoritmo.           
Eppure non è solo una bella nuvola di nostalgia. Scritto da Gigio Brunello per la regia di Gyula Molnar, lo spettacolo è la storia di un posto vero, di nomi e cognomi, e “di conoscenze tecniche, della manualità, della capacità inventiva e artigianale degli operai di Porto Marghera del secolo scorso…”          
(Marianna Sassano - Nonsolocinema)
TESTE CALDE. Storie della sortita
di Gigio Brunello e Gyula Molnar
In scena Gigio Brunello - Sculture di Gigio Brunello
Musiche originali di Gigio Brunello eseguite da David Boato (tromba), Francesco Socal (clarino), Rosa Brunello (contrabbasso), Tommaso Cappellato (percussioni), Marco Ponchiroli (pianoforte)
Scenofonia di Lorenzo Brutti - Consulenza storica Piero Brunello
     
Il 27 ottobre 1848 da Forte Marghera  escono gli insorti per cacciare gli austriaci da Mestre. Il presidio austriaco abbandona la torre Belfredo e lascia andare liberi alcuni ragazzi di  Noale  renitenti alla leva  che quella sera stessa dovevano essere impiccati.  Intanto a Forte Marghera il poeta Poerio  è a letto malato ma, nonostante il divieto di partecipare alla sortita, anche perché era molto miope,  verso sera decide di raggiungere da solo il centro di Mestre dove erano in corso i combattimenti. E' scesa la nebbia.  Poerio, convinto di andare in direzione della torre civica  prende la strada dei cappuccini che porta a Bottenigo, attuale Marghera.  Entra in un portone  dove stava rannicchiato col suo fucile un soldato croato che aveva perso il collegamento con i suoi. Il soldato spara. Di Poerio, che incontra la morte in un androne, resterà il nome a indicare una via.         
Questi due episodi sono  lo spunto che da il via al nuovo spettacolo di Gigio Brunello e Gyula Molnar  (Prima Nazionale Mittelfest di Cividale 2011) e che vuole proseguire l'originale e personalissimo percorso artistico di ricostruzione della memoria cittadina cominciato con Vite senza fine I saperi operai del novecento. Il linguaggio utilizzato è lo stesso che il pubblico mestrino ha conosciuto: un lungo tavolato sul quale, tra alcuni elementi  simbolici di Mestre ottocentesca (la torre, le Barche, il Ponte della Campana, il Forte Marghera), prendono vita le statuine della storia di allora. C'è una cassa di fucili pagati da una colletta patriottica per la difesa di Venezia, mai giunti a destinazione. Siamo nell'autunno del 1848 quando gli austriaci hanno già riconquistato Veneto e Lombardia e assediano la città lagunare. Il passaggio di mano di questa merce che scotta  ci farà conoscere contadini e soldati, spie , disertori e giovani patrioti, amori che parlano lingue ostili, come fossero appena usciti da novelle di Boito. Ci sarà chi sui fucili costruirà la sua fortuna, chi incontrerà la propria fine. L'autore, interessato esclusivamente alle loro storie, per scrupolo di raccontarle al meglio, non è riuscito a ignorare i re, le battaglie, i trattati, i proclami e le solenni promesse che, come ci insegnano i manuali di storia, allora c'erano e sempre ci saranno
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(Marianna Sassano - Nonsolocinema)
LUMI DALL’ALTO. Corse clandestine in città    
di Gigio Brunello e Gyula Molnar
In scena Gigio Brunello -Sculture di Gigio Brunello
dipinti di Lanfranco Lanza - Musiche di Rosa Brunello eseguite da Rosa Brunello Quintet- Scenofonia di Lorenzo Brutti
“ In groppa a C’est la vie, Ginco Scura e Kira Oxha sorvolano il bosco di Bissuola, un bosco così fitto che dentro ci si perde. - Lo sapevi che sotto questi carpini c’è il cimitero degli Unni? - dice Ginco- Nessuno osa scavare per non svegliare gli spiriti dei cavalieri morti - E tu, come lo sai? - dice Kira che ci ha preso gusto ad ascoltarlo - Ora sorvoleremo le sirene!- dice Ginco sempre più fiero di sé - legati a me e ascolta il canto. (fischio di sirena) Sentito? E’ poco bello? – Sotto di loro la gente preoccupata si riversa in strada - Noi non c’entriamo! - fa segno Ginco, non abbiamo toccato niente!- Ma i mestrini non li vedono e sono ancora lì a testa in su.” (Da Lumi dall’alto. Corse clandestine in città.)                                  
Quando Kira mi raccontò questa storia, era incinta del primo bimbo. Mi aveva fatto vedere il video del suo matrimonio: lei con lo sposo e gli invitati che percorrono velocemente i viali di un parco e guardano sorridenti in telecamera. Mi spiegò che quel video era un falso, l’avevano girato, di nascosto dai proprietari, in una villa veneta approfittando del giorno di chiusura del ristorante e grazie al  giardiniere albanese loro amico. Soldi per un matrimonio vero e proprio non ne avevano ma quel video serviva per far felici i parenti rimasti in Albania. E pensare che papà e mamma avevano già combinato un matrimonio con un cugino ricchissimo che viveva a Canadà.
Così cominciò a raccontarmi la sua storia fin da quando era partita in gommone col suo fratellino. Qualsiasi riferimento a persone o a fatti realmente accaduti è puramente immaginario.          

«Così, senza retorica alcuna rivive l'epopea della comunità albanese di Mestre, attraverso la storia vera di una sedicenne arrivata dall’acqua in Italia con il fratellino con le proprie cose ben avvolte e sigillate nel nylon per preservarle dall'acqua. Brunello e Molnar creano per mezzo di un teatro poverissimo dove sono gli oggetti a prendere vita con l'immaginazione dello spettatore uno spettacolo di rara potenza poetica ed evocativa.»
(Mario Bianchi - Eolo)