lunedì 4 gennaio 2016

Come l'acqua da un bicchiere rotto


Quando Orfeo non trova che il suo riflesso

recensione di Felice Carlo Ferrara




Un protagonista scisso in due uomini fermo in un Aldilà desolato come una soffitta in cui vivono solo ricordi accumulati in modo caotico. Una sorta di Orfeo deciso a ritrovare la sua Euridice, ma privato di risposte, abbandonato in uno spazio e in una dimensione che non riesce a comprendere e in cui non trova che i propri pensieri e un altro se stesso, una sorta di riflesso uscito da uno specchio. Ma quello che vorrebbe fosse l’Aldilà e in cui vorrebbe ritrovare lo spirito della propria ragazza, deceduta da anni in un incidente stradale, non si dimostra che un luogo mentale, un ampliamento abnorme dell’ossessione per la perdita dell’amata, un’ossessione che lo ha ormai ingabbiato e da cui fatica ad uscire.
Così della donna non si riaffacciano che vecchi ricordi, semplici oggetti e una voce registrata e risentita, si intuisce, mille e mille volte senza che da essa scaturisca nulla di realmente concreto. Tutto rimane fermo nella mente dell’uomo e non ci sono feritoie verso l’esterno, tanto da far dubitare che esista realmente un esterno, un “altro da sé”.
Non si riflette sul dolore, perché la ferita è ormai vecchia, ma piuttosto sulla volontà di venire a patti con una realtà che sembra insensata e la scelta di lasciare andare quel che rimane di un amore interrotto troppo presto, a dispetto che tutto sembri assurdo, insensato e crudele.
Per vivere bisogna accettare tutto quello che la vita impone, compresa quella che può spesso apparire come un terribile illogicità.



Per quanto sia inevitabile pensare al mito greco, lo spunto è dato da una storia vera, offerta alla scena da Ferdinando Cotugno, qui drammaturgo. Non si raccontano tuttavia che sprazzi di ricordi in un certo senso molto comuni, perché ciò che conta è piuttosto l’atmosfera che si tenta di ricreare: una dimensione surreale in cui desideri, passioni e sentimenti del protagonista acquistano un aspetto onirico e appaiono tanto suggestivi quanto sfuggenti, come l’immagine ricorrente dello squalo balena che apre e chiude in modo quasi monumentale lo spettacolo, e che forse deve ispirare in noi l’idea di qualcosa di immenso, vivo e affascinante, che tuttavia rimarrà per sempre sommerso e lontano dalle nostre coscienze.

Come l’acqua da un bicchiere rotto” è uno spettacolo dalla scrittura complessa e portato sulla scena da una regia attenta e molto creativa, che sa inanellare una lunga serie di immagini suggestive e piuttosto efficaci. Si nota inoltre la cura e la dedizione con cui tutto il gruppo ha costruito lo spettacolo, dagli interpreti, gli ottimi Marco Ripoldi e Libero Stelluti, capaci di toni delicati e di una ironia sempre ben bilanciata, fino al disegno luci molto articolato e davvero lodevole. 



Come l'acqua da un bicchiere rotto
Interpreti Marco Ripoldi - Libero Stelluti
regia Piera Mungiguerra
testo Ferdinando Cotugno – Piera Mungiguerra
consulenza drammaturgia Luca Franzoni
prodotto in collaborazione con Campo Teatrale

Visto a Milano presso Campo Teatrale, il 27 novembre 2015