sabato 8 dicembre 2018

Wunderkammer: cabinet of curiosities


Wunderkammer: ritrovare la meraviglia


Recensione di Felice Carlo Ferrara



In un mondo dove la tecnologia ci porta in un istante in ogni parte del mondo, svelando ogni più piccolo angolo di questa terra e fornendo una risposta immediata ad ogni domanda, anche prima che una domanda venga effettivamente posta, l'esperienza forse più desiderabile è tornare a quello stato di ingenuità e ignoranza che dovevano avere gli uomini prima che ogni tecnologia fosse diffusa, quando la mente doveva ancora animarsi con tante domande a cui poteva rispondere più l'immaginazione che una verità oggettiva.

Accettiamo allora volentieri la proposta di Wunderkammer, uno spettacolo che ci riporta in atmosfere ottocentesche facendoci entrare in un cupo e misterioso gabinetto in cui la ricerca naturalistica ha ancora un odore di fantasticherie bizzarre. Qui tre marionettisti ci svelano una stravagante galleria di creature dal sapore esoterico eppure osservate con una pretesa scientifica, con la magnifica naiveté che avremmo avuto in altre epoche e che può restituirci uno sguardo ancora infantile sul mondo e quindi carico di meraviglia, quella meraviglia che il titolo dello spettacolo promette di restituirci per sottrarci per un'ora ad una realtà invece così priva di immaginazione.

Osserviamo allora rapiti la sfilata di queste piccole figurine dall'aspetto spesso demoniaco, mostruoso e deforme, eppure capaci di suscitare anche tanta tenerezza, forse perché nate dalla fantasia del nostro io bambino di cui conservano ancora il carattere semplice e nello stesso tempo un po' folle.




La compagnia tedesca è peraltro tra le eccellenze a livello internazionale in fatto di figure animate e lo dimostra bene anche in questa produzione dove la marionette sono create con una qualità tecnica e un gusto estetico ineccepibili, e dove l'esibizione dell'abilità dei marionettisti non va a discapito, ma anzi nutre la poesia dello spettacolo. Di grande efficacia anche il commento sonoro dello spettacolo che aiuta lo spettatore a immergersi nell'atmosfera magica di questo stanzino delle meraviglie.

Lo spettacolo è incluso in IF festival, imperdibile rassegna internazionale dedicata al teatro di figura contemporaneo, promossa come ogni anno dal teatro del Buratto e ospitata presso il Verdi di Milano.



Wunderkammer, cabinet of curiosities
Performers e pupazzi Alice Therese Gottschalk, Raphael Mürle e Frank Soehnle
Musica “Wunderkammer” di Michael Wollney e Tamar Halperin
Coreografia Lisa Thomas
Costumi Evelyne Meerschaut
Con il supporto di Landesverband freier Theater Baden-Württemberg Fonds Darstellende Künste
FITZ Figurentheaterzentrum Stuttgart Förderkreis Figurentheater Pforzheim
Theater in den Pferdeställen Tübingen

visto sabato 1 dicembre presso il teatro Verdi di Milano

sabato 24 novembre 2018

Lupi buoni e tori con le ali


Lupi buoni e tori con le ali: quando nel nostro immaginario irrompe la diversità


Di Felice Carlo Ferrara


C’è un posto dove hanno origine tutte le storie: una sorta di grande fabbrica in cui ogni possibile protagonista trova una collocazione precisa: il lupo cattivo ha il suo spazio in un cassetto in alto a destra, il topo dispettoso sulla sinistra, la farfalla poco al di sotto e naturalmente non manca un posto per i draghi! Tutti gli animali più amati dai bambini sono pronti per essere lanciati nel mondo delle storie… almeno quasi tutti. Quando nel grande archivio compare un toro con le ali, infatti, sembra impossibile classificarlo in modo preciso. Chi ha mai sentito parlare di un toro con le ali? E chi può prevedere se sarà buono o cattivo, socievole o astioso, allegro o malinconico?  Senza un’etichetta prefissata non è possibile entrare nel meccanismo delle storie e questa decisione sembra escludere il nuovo arrivato. Ma basta davvero questo a risolvere il problema? Il toro con le ali sembra infatti avere una naturale predisposizione al caos, tanto che in pochi minuti tutto l’archivio cade nella confusione e ogni animale rivela istinti e attitudini fino ad allora impensabili! O almeno mai previste dalle regole dell’archivio…

“Lupi buon e tori con le ali” è la storia di come tendiamo a ridurre tutto a degli stereotipi impoverendo di fatto le nostre possibilità in termini di immaginazione ma anche in termini di risorse di vita. Ed è una riflessione su come la nostra fatica a gestire l’imprevedibile può rivelarsi in realtà molto dannosa non solo per chi è diverso, ma anche per noi stessi, perché ognuno di noi potrebbe avere una natura imprevedibile nascosta da qualche parte e quando questa natura non trova un canale per esprimersi, rimane di fatto bloccata per sempre, generando una profonda malinconia, se non un fastidioso senso di frustrazione.



Lo spettacolo sceglie un linguaggio misto che si ritaglia momenti di teatro di figura (davvero notevole il lavoro di Rossana Maggi tanto sulle illustrazioni quanto sui pupazzi) e di videoproiezioni; a reggere lo spettacolo sono però soprattutto le due protagoniste, le ottime Giulia D’impero e Paola Palmieri, in grado di dosare nella caratterizzazione dei rispettivi personaggi il giusto grado di ironia e di malinconia.

Se è possibile che non tutti i messaggi veicolati dallo spettacolo arriveranno al bambino (probabilmente il discorso sulle etichette come sui generi è più rivolto ai genitori che ai loro figli), Lupi buoni e Tori con le ali rimane comunque un prodotto gradevolissimo per i bambini, un racconto in grado di divertirli e, quantomeno, di avvicinarli a temi importanti come la diversità e la discriminazione.


LUPI BUONI E TORI CON LE ALI

Ideato e realizzato da ArteVOX Teatro con il sostegno del Teatro del Buratto
di Anna Maini
regia Benedetta Frigerio
con Giulia D'Imperio e Paola Palmieri
scenografia, illustrazioni e pupazzi Rossana Maggi
costumi Claudia Botta e Rossana Maggi
realizzazione e consulenza video Michele Cremaschi
musiche e suoni originali Enrico Ballardini
voci registrate di Tommaso Banfi, Renata Coluccini, 
Marta Comerio, Dario De Falco, Franco Spadavecchia
direttore di produzione Marta Galli



Visto il 18/11/2018 presso il Teatro Munari di Milano


venerdì 2 novembre 2018

Filippo Timi porta in scena il suo cuore di vetro


FILIPPO TIMI CAVALIERE CORAZZATO DI PAURE IN

 UN CUORE DI VETRO IN INVERNO


Recensione di Felice Carlo Ferrara


Dopo essersi immerso nell’universo shakespeariano (con le riletture grottesche dell’Amleto e di Giulietta e Romeo), aver parodiato la Hollywood degli anni ’50 (Favola), aver giocato con la commedia barocca (nell’estroso Don Giovanni), essere tornato all’ingenuità degli anni ’80 (Skianto) ed aver ricreato le atmosfere del cinema italiano degli anni ’60 (La Sirenetta), Filippo Timi riesuma ora la sacra rappresentazione medievale, riprendendone l’assetto didascalico e costruendo la facile allegoria di un uomo innamorato che affronta le proprie paure come un cavaliere si prepara allo scontro con un drago.
Privo di una vera narratività, lo spettacolo si frammenta in più voci. Al fianco del cavaliere umbro si raccontano, infatti, altre figure, tutte piuttosto topiche nell’universo cortese: un vecchio giullare, un giovane scudiero, una prostituta e un angelo custode, tutti carichi di insicurezze o delusioni e, in questo, specchi della fragilità del protagonista. E se ognuno aggiunge un tassello al tema centrale della paura, così strettamente annodato a quello dell’amore nella personalissima visione del mondo di Timi, nel medesimo tempo ognuno ritorna al punto di partenza.



Allo stesso modo lo spettacolo, pur esplorando un genere teatrale nuovo nella carriera di Timi, torna in realtà alle esperienze precedenti, riaccogliendo in sé l’eco di ogni lavoro del passato, come a realizzarne un piccolo compendio che rifletta malinconicamente su se stesso. Facile riconoscere gli elementi pasoliniani già molto presenti nella Sirenetta (di cui riprende anche un pezzo di scenografia), il gusto barocco, la scelta dell’inflessione regionale a smorzare l’altisonanza del testo e la Marilyn della Rocco già presente nell’Amleto. 



Filippo Timi conferma peraltro la sua cifra stilistica, caratterizzata da un’estetica tanto curata, quanto dedita al bizzarro e dal gusto per l’elemento popolare che vada a contaminare testi invece ridondanti, straripanti immagini poetiche e folgoranti accumulate l’una sull’altra, con insistenza, cercando più la ripetizione del concetto che il suo approfondimento. 



Ne risulta uno spettacolo estremamente affascinante sul versante visivo, e non solo per i bellissimi costumi e per il disegno scenografico: contribuisce notevolmente anche la capacità visionaria di Timi che mette Marina Rocco irrigidita su un carrello scorrevole, accosta uno squallido bar di periferia così materico nel suo nudo cemento ad una nuvola che pare tratta da un affresco manierista e appende infine se stesso a testa in giù dopo essersi arrampicato fino alla cima di una scala in una scena di grande impatto. A questo si aggiunge la consueta qualità nella squadra attorale: in scena un accumulo di talenti la cui vetta è lo stesso Timi.
Per contro si deve riscontrare una semplicità nei contenuti e nel gioco narrativo tale da rendere quasi inutile tanto lavoro estetico o tanto talento attorale, quasi si sfoggiasse più mestiere che arte.    



UN CUORE DI VETRO IN INVERNO
uno spettacolo di e con Filippo Timi
e con Marina Rocco, Elena Lietti, Andrea Soffiantini, Michele Capuano
luci Camilla Piccioni
assistente alla regia Benedetta Frigerio
direttore di scena Alberto Accalai
macchinista Mattia Fontana
elettricista Lorenzo Bernini
fonico Emanuele Martina
sarta Caterina Airoldi

amministratrice di compagnia Beatrice Cazzaro
direttore tecnico Lorenzo Giuggioli
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati presso la sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
produzione Teatro Franco Parenti/ Fondazione Teatro della Toscana
Visto il 31 ottobre 2018 presso il Teatro Franco Parenti di Milano

domenica 28 ottobre 2018

Becco di rame, la diversità secondo il Teatro del Buratto

quando l'affetto trasforma la diversità in un dono speciale


Recensione di Felice Carlo Ferrara



Un piccolo pulcino d’oca di Tolosa viene salvato da un mercato di animali per essere introdotto in una fattoria dove finalmente qualcuno potrà dargli delle cure amorevoli; è l’inizio di un lento percorso di integrazione in cui il piccolo protagonista, di una specie piuttosto insolita e quindi diverso da tutti gli altri, deve affrontare una prima diffidenza generale da parte degli abitanti della fattoria, per cercare di costruire relazioni man mano più solide, fino a conquistare, da adulto, un ruolo finalmente riconosciuto all’interno di una sorta di società di animali. Ma proprio quando sembra che tutto si sia stabilizzato per il meglio, arriva l’evento peggiore: l’aggressione di una volpe priva l’uccello del becco, sfigurandolo gravemente. L’animale viene soccorso. L’innesto di un becco di rame gli salva la vita, ma l’oca rimane sfregiata per sempre.

E’ un ritorno alle condizioni di partenza: l’oca deve di nuovo fare i conti con la diversità, problema che sperava di aver superato e che invece torna con una forza tanto maggiore, da sembrare insormontabile… oppure no, perché forse ciò che conta veramente sono gli affetti: agli occhi di chi ci ama una nostra anomalia può renderci non diversi, ma speciali.

Ispirato ad una storia vera, lo spettacolo Becco di Rame si pone l’obiettivo di raccontare ai più piccoli il tema della diversità e della disabilità con la semplicità, l’immediatezza e la verità di cui erano capaci le favole di un tempo. E raggiunge il traguardo, riuscendo a intenerire lo spettatore, a divertirlo, a emozionarlo e, infine, a lasciargli qualcosa de
ntro. Merito del coraggio di rappresentare la realtà nella sua concretezza, attraverso il filtro della vita animale, sì, ma senza sottrarre al bambino la complessità e gli ostacoli che caratterizzano l'esistenza di ognuno di noi. La piccola società di animali rappresentata riflette efficacemente la nostra in modo leggero, ma non per questo superficiale; riesce anzi a risultare particolarmente toccante, anche senza indugiare sugli aspetti più tristi della vicenda; per questo incide nello spettatore un importante messaggio di solidarietà. 
Questo spettacolo è dunque la dimostrazione che affrontare temi difficili con i bambini è possibile non accettando un certo grado di approssimazione e censura, come si vede troppo spesso, ma cercando quel giusto equilibrio tra realtà e immaginazione, immedesimazione e distacco dalla narrazione che possa risultare al bambino coinvolgente e comprensibile e, nello stesso tempo, emotivamente tollerabile. 





Successo dunque meritato per questa lodevole produzione, in cui a eccellere non è solo l’esecuzione della tecnica su nero, per cui è celebre il Buratto, ma anche la narrazione, capace di alternare momenti diversi tra loro e di assumere un respiro molto ampio. Lo sguardo dello spettatore non è portato solo sulle vicende del protagonista, ma è condotto in realtà a esplorare tutta la vita della fattoria e della campagna circostante, con momenti anche privi di azione ma di grande impatto. A ciò si aggiungono dialoghi brillanti e, in generale, una drammaturgia solida, cosa tanto rara nel teatro per l’infanzia.

Impossibile, infine, non evidenziare lo straordinario fascino delle marionette, dotate di un aspetto davvero accattivante e animate in scena con una complessità e una professionalità riscontrabile in pochi altre compagnie.




BECCO DI RAME
Produzione: Teatro del Buratto
Premio Eolo 2018
dal libro di Alberto Briganti
adattamento drammaturgico: Ira Rubini
ideazione e messa in scena:
Jolanda Cappi, Giusy Colucci, Nadia Milani, Matteo Moglianesi, Serena Crocco
musiche originali di Andrea Ferrario
in scena: Nadia Milani, Matteo Moglianesi, Serena Crocco
voci: Francesco Orlando, Flavia Ripa, Valentina Scudieri, Nadia Milani, Serena Crocco
pupazzi di Chiara De Rota e Linda Vallone
scenografie e oggetti: Raffaella Montaldo, Nadia Milani, Matteo Moglianesi, Serena Crocco
luci: Marco Zennaro
direttore di produzione: Franco Spadavecchia

visto il 14 ottobre 2018 presso il teatro Munari di Milano

sabato 3 marzo 2018

Corrado d'Elia gioca con Riccardo III


Riccardo III, il videogioco del potere

recensione di Felice Carlo Ferrara





Per alcuni storici la morte di Riccardo III segna la fine del medioevo in Inghilterra, un'epoca cosiddetta oscura, popolata nel nostro immaginario di paure irrazionali, personaggi dall'animo torbido e azioni efferate in gran parte per via del ritratto che ne hanno dato grandi scrittori come Shakespeare. Dunque oggi estrarre dal baule del passato i suoi protagonisti potrebbe rimanere un modo per riconsiderare da lontano un modo di agire ormai distante dal nostro vivere. Oppure no. Forse anche il nostro presente è popolato da tanti Riccardo III, uomini o donne frustrati da una vita insoddisfacente, rosi da una sete di rivalsa che vorrebbe sfogarsi in una insensata corsa al potere; piccoli Riccardo con la differenza, però, di deviare dal mondo reale per riversare queste ambizioni in un mondo dove è più semplice ottenere successo: la realtà virtuale, ad esempio, quella dei videogiochi dove è possibile far scorrere il sangue a fiumi senza che nessuno mostri il proprio biasimo, dove si può odiare senza freni chiunque si frapponga all'obiettivo finale e dove è possibile porsi come unico centro dell'universo, falciando tutto il resto. Una realtà in cui la complessità delle relazioni umane si sminuisce in un gioco a punti, per cui ogni persona è ridotta a pedina, la cui conquista può valere una risalita in termini di punteggio. E, per essere franchi, chi non ha provato la tentazione di abbandonare per un momento ogni etica, per provare i brividi di un comportamento dissennato almeno una volta nella sua vita, protetto dall'idea di un mondo immaginario capace di dissolversi in un attimo e quindi di ripulirci la coscienza?
Ecco quindi che un Riccardo III lo possiamo trovare dentro ognuno di noi, assopito dal buon senso del vivere civile, ma pronto a risvegliarsi appena il contesto lo permette.



Sembra questo il punto di partenza di Corrado D'Elia per la sua nuova avventura shakespeariana. La scelta registica è infatti quella di chiudere il celebre capolavoro nello schema di un videogioco a livelli, e di mettere il pubblico nelle condizioni di osservare il mondo con gli stessi occhi di Riccardo III: ovvero uno spazio algido in cui fanno capolino personaggi ridotti a figurine decontestualizzate, il cui valore è stabilito da un sistema a punti.
E, paradossalmente, l'egocentrismo del giocatore Riccardo si manifesta anzitutto con la sua assenza dalla scena. Un'assenza solo fisica, s'intende, perché la sua voce come il suo sguardo sono invece onnipresenti, assumendo in un certo senso una dimensione divina: le pedine del gioco sono così costrette a cercarlo puntando lo sguardo verso l'alto e a subire le sue continue irruzioni senza alcuna speranza di mantenere uno spazio privato. In questo Corrado D'Elia afferra con saldezza uno dei temi più cari a Shakespeare, quello dell'uomo che osa elevarsi alla stessa altezza di Dio e che proprio per questo determina il proprio destino tragico, un atteggiamento che il drammaturgo ammirava e temeva allo stesso tempo.
La nuova produzione della Compagnia Corrado d'Elia si dimostra quindi capace di una originale rilettura del capolavoro shakespeariano, senza che questa stessa ricerca di originalità penalizzi l'essenza del testo. Ne risultano anzi evidenziati gli aspetti più salienti, come dovrebbe sempre accadere nel teatro di regia.
A ciò si aggiunge l'alta professionalità di tutti gli aspetti tecnici, capaci, dal disegno luci alle tracce sonore, di sostenere con efficacia l'idea registica di base. Merita peraltro una menzione di riguardo l'ottima squadra attorale: sul palco non si dispiega solo il talento istrionico del sempre eccellente Corrado d'Elia. Ogni singolo interprete, infatti, come raramente accade, si rivela perfettamente all'altezza di un testo che, pur arduo e complesso, arriva al pubblico come leggero, piacevole ed estremamente affascinante.





Riccardo III
Produzione: Manifatture Teatrali Milanesi - Compagnia Corrado d’Elia

Di William Shakespeare

Regia di Corrado d’Elia

Con: Andrea Bonati, Raffaella Boscolo, Marco Brambilla, Giovanni Carretti, Paolo Cosenza, Corrado d’Elia, Gianni Quillico, Chiara Salvucci, Antonio Valentino.

Adattamento: Corrado d’Elia

Assistente alla regia: Luca Ligato

Ideazione scenica e grafica: Chiara Salvucci

Responsabile produzione: Beatrice Nannetti Pozzi

Tecnico e disegno luci: Marco Meola

Tecnico audio: Edoardo Ridolfi

Costumi: Rossana Parise



Visto il 2 marzo a Milano presso il Teatro Litta.