Riunire
la morte con la vita nel sacro segno della vocazione
di Monica Ceccardi
Un
vecchio claudicante avanza verso il proscenio sulle note di Ridi pagliaccio. E’ l’anziano attore
feticcio di Thomas Bernhard, Minetti. Vuole
recitare ancora una volta Re Lear, ma
ha paura, perché tutti gli artisti hanno paura. Lui sa di essere stato folle a
votarsi in gioventù all’arte drammatica, infatti ha smesso, e da trent’anni
coltiva verdure, tuttavia vuole essere ancora una volta Lear. Però zoppica, si
soffia il naso, e se ne va. Ecco Danio, spogliato, scorticato, che grida al
cielo con delicata disperazione il Monologo
del non ne posso più di Mariangela Gualtieri. E di nuovo viene risucchiato
dal vortice, riassorbito dalla malia dei suoi personaggi. Maschere stranianti
di lattice trasformano lui e il suo perfetto compagno di scena, Vincenzo Del
Prete, in Nina e Kostja del Gabbiano
di Cechov. I corpi come marionette scomposte si sfiorano con grazia, portando
la loro croce, fino allo sparo finale fuori scena, un palloncino, Kostja muore,
e Nina si scioglie in danza. Ora è Danio a danzare, a correre, a cadere, a
diventare Amleto, a gridare il suo essere o non essere. Corre, cade, si rialza,
con la musica che cresce. E così sarà durante tutto lo spettacolo: un viaggio
negli inferi di questa santa e puttana vocazione dell’essere attore. Servo di scena di Harwood, Il canto del cigno di Cechov, Un anno con 13 lune di Fassbinder,
scorrono con la musica, nella carne degli interpreti, e gonfiano le emozioni
degli spettatori. Sopra tutto e tutti sembra di sentire aleggiare la presenza
del Teatro, che osserva placidamente gli attori che ogni sera per lui si
mangiano la vita, nel carcere teatrale che si sono inflitti.
L’unica soluzione è il suicidio? No, vivere, vivere, si canta e si danza, vivere è come un comandamento. Se ci
provi, ci riesci, sognatore, ascolta il vecchio attore Svetlovidov di Cechov: dove ci sono arte e talento, non esistono né
vecchiaia, né solitudine, né malattie, e persino la morte conta per metà.
Sul
finale un’ultima struggente figurina in bilico su zeppe di strass, ali d’angelo
rosso fuoco e accento slavo ci chiede: Posso
aiutarvi? Riunite la morte con la vita. Posso aiutarvi?
Sì,
ci hai aiutato, Danio, ci hai commosso, ci hai ricordato la meravigliosa,
terribile, potente fragilità della creazione, che è dono vivo. E il tuo amore
per la scena, nell’ansia di perdersi, ha trovato ancora una volta, ancora per
questa sera, la certezza di aversi.
Lunghi
e commoventi applausi alla fine, per questo viaggio di Manfredini nelle viscere
di se stesso, della sua vocazione, e nelle viscere di questo luogo/non luogo
incantato che è il teatro.
Vocazione
ideazione e regia Danio Manfredini
progetto musicale Danio Manfredini,
Cristina Pavarotti, Massimo Neri
con Danio Manfredini, Vincenzo del
Prete
luci Lucia Manghi, Luigi Biodi
collaborazione ai video Stefano Muti
collaborazione ai video Stefano Muti
produzione La Corte Ospitale
Visto
al Teatro Camploy di Verona
il
27 Febbraio 2015
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