Filippo
Timi e il sogno del Franco Parenti
Dopo i recenti successi di pubblico riscossi in insolite programmazioni
estive, il teatro Franco Parenti amplia i suoi orizzonti e si spinge a
immaginare nuovi modi di interazione tra la propria struttura e gli spettatori:
non è ancora chiarissimo quale sia l'obiettivo finale cui tende la direzione,
ma di certo c'è la storia di un centro balneare nato negli anni '30, smembrato
durante la guerra e mai più risorto, se non in alcuni locali ora rinnovati e
utilizzati dallo stesso teatro Franco Parenti. L'area ancora in stato di
abbandono, comprendente due piscine e una palazzina in ben 14 mila mq, potrebbe
quindi essere riqualificata, aperta al pubblico e, infine, pensata come
prolungamento del teatro.
Il progetto sembra piuttosto ambizioso, ma Andrée Ruth Shammah, nella sua
ricerca di fondi, ha potuto contare sull'appoggio di un amico molto speciale:
si tratta di Filippo Timi, che dopo gli strepitosi successi raccolti da Amleto,
Favola, Don Giovanni e Skianto, ha ormai un rapporto strettissimo con lo
stabile d'innovazione. L'attore e regista ha così scritto in pochi giorni un
nuovo testo, ha chiamato a raccolta alcuni dei suoi collaboratori più cari,
comprese le amatissime Lucia Mascino e Marina Rocco, e in un tempo brevissimo,
6 giorni, ha allestito un lavoro che deve considerarsi un abbozzo di
spettacolo, più che qualcosa di definitivo. Una sorta di work in progress
aperto al pubblico, i cui profitti saranno devoluti per la realizzazione del progetto.
Il tema scelto è strettamente connesso al sogno di Shammah: Timi è infatti
partito dall'immagine di una bagnante degli anni '30, ha quindi ricreato un'atmosfera retrò
ispirandosi al nostro miglior cinema, e, con il consueto spirito
demistificante, ha fuso il tutto con la più celebre fiaba di Andersen.
Timi e
la sua Sirenetta senza abissi
Il mito della sirena è stato per secoli il simbolo del fascino e nello
stesso tempo del terrore esercitato sull'uomo dall'universo ignoto e misterioso
del mare; in seguito la figura della sirena è confluita nel motivo della femme
fatale, della donna ammaliatrice metafora del potere schiacciante della
sessualità contro la debolezza della ragione. Hans Christian Andersen, invece,
nella sua celeberrima fiaba, capovolse il punto di vista e fece della creatura
marina un essere sorprendentemente tenero; la sua sirenetta, ben lontana dalle
armi della seduzione insidiosa, divenne ella stessa una vittima dell'amore e la
sua morte solitaria si fece denuncia di un destino troppo spesso avverso ai
sentimenti più autentici.
La Disney, poi, per una felice ispirazione, vide la condizione della
sirena, pesce solo per metà e solo per metà donna, una metafora della
difficoltà dell'adolescente nel maturare un'identità adulta in una fase che
costringe di fatto a stazionare in una scomoda situazione intermedia.
Filippo Timi nel suo ultimo lavoro dal titolo La sirenetta, sceglie di
mantenere il pessimismo dello scrittore danese e nello stesso tempo sembra
raccogliere almeno parzialmente il suggerimento della versione animata, facendo
tuttavia della sirena un'icona non della sessualità immatura dell'adolescente,
ma della propria.
Marina Rocco, nella parte della protagonista, aspira a un amore con un
umano e cade nell'illusione che questo possa avvenire solo acquistando una
vagina, proprio come un ragazzo effeminato, nell'aspirare a un rapporto amoroso
con un uomo eteresessuale, può desiderare organi genitali femminili.
Non si tratta tuttavia di uno spettacolo sull'omosessualità; la
protagonista è una donna con un sentimento idillico ucciso da chi si è arreso
troppo presto alla superficialità e al cinismo; solo nel finale Timi si alza e
veste l'abito della sirena, suggerendo un'identificazione con la sua eroina. È
dunque piuttosto uno spettacolo sulla sessualità di Timi, quella sessualità che
spesso invade le sue opere e sembra ingabbiare il suo mondo. E quella che si
rappresenta non sembra la realtà universale, quanto una realtà individuale, un
mondo interiore dai contorni onirici.
Filippo Timi ne La sirenetta
Non a caso Timi si affida il ruolo del regista. Come già accaduto in alcuni
lavori precedenti, l'attore si pone come dominatore della scena, con la
differenza che, se Amleto e Don Giovanni erano uomini che si elevavano al di
sopra della realtà universale, qui Timi si eleva al di sopra della realtà della
sua mente.
Ed è un mondo difficile da comprendere, un mondo che può divertire il suo
creatore, ma turba e inquieta il
pubblico. Come raramente accade nei lavori di Timi, non volano molte risate tra
gli spettatori. Nel corso dello spettacolo, infatti, si prova una sorta di
angoscia non tanto per i protagonisti della narrazione, quanto per gli attori
stessi, marionette denudate, manipolate, umiliate da un Filippo Timi che sembra
voler sottoporre tutti a quello stesso sentimento di profonda frustrazione che
deve albergare in fondo alla sua anima.
Non ci vengono date spiegazioni e l'intento di Timi non sembra quello di
voler comprendere la propria interiorità, quanto quella di inscenarla,
rimanendo immerso nel proprio disorientamento.
Siamo in una spiaggia piuttosto cupa e grigia. In questa atmosfera tetra,
spicca l'insegna luminosa di un locale di poche pretese.
Sulla sabbia un Filippo Timi dall'aspetto piuttosto serio è affiancato da
un uomo dalla testa di uccello, che, se rievoca Uccellacci e uccellini di
Pasolini, potrebbe essere un cupo simbolo fallico e insieme un presagio di
morte.
Comincia allora un monologo, di quelli caotici e ridondanti che ama
scrivere Timi, e dopo lunghe perifrasi, il discorso si circoscrive ad un unico
concetto: la vagina.
Elena Lietti
Quindi entrano in scena due prostitute, poi uomini avezzi alle prostitute,
figli di prostitute o essi stessi nella rete della prostituzione. Infine
compare la sirenetta e se anche la sua voce non fa che ribadire l'onnipresenza
della prostituzione in questo angusto universo, per un momento l'ingenuità con
cui parla è un piacevole spiraglio di luce. Uno spiraglio effimero. L'ingresso
della strega del mare, una donna del tutto simile alle prostitute di prima, non
serve che a introdurre la protagonista nel circolo della prostituzione. E il
denudamento di Marina Rocco, metafora della perdita della sua innocenza, è il
momento più duro dello spettacolo.
Quindi ancora una scena dedicata al Principe di questa fiaba: un uomo un
tempo tanto candido da sembrare figlio di un re, ora con un'anima nera come il
cielo che lo sovrasta. Il suo incontro con la sirena, quindi, non può che
portare a una morte assurda e impietosa l'ingenua protagonista.
In questo universo, quindi, non esiste che una sessualità mortifera,
degradante e mercificata, mentre tutti i sentimenti hanno vita breve e
stentata.
Lo spettacolo si chiude poi con una sfilata di tutti i personaggi che
ricorda da vicino 8 e mezzo di Fellini. Filippo Timi costruisce infatti
l'estetica del suo spettacolo citando di continuo i pilastri della nostra
cinematografia. Il suo alter ego in scena ha infatti tutto l'aspetto del
Marcello della Dolce Vita di Fellini, personaggio torbido e confuso con cui
Timi ha forse nella vita molti punti di contatto; la prostituta della Mascino
rincorre invece, con una certa fatica, la Magnani di Mamma Roma, mentre la
Lietti cerca forse un'identità con la Masina felliniana. E ancora i personaggi
maschili riprendono i ragazzi di periferia di Pasolini, ritraendoli con la
stessa naivitè del cineasta.
Lucia Mascino
Questi omaggi, però, non sono che un vestito per uno spettacolo che per il
resto non riprende molto altro dalla nostra storia cinematografica. La
personalità di Timi, infatti, non si presta molto al senso tragico di un De
Sica, alla sobrietà rigorosa di Antonioni o all'eleganza di un'opera di
Fellini; si compiace invece di toni scanzonati e spesso sboccati.
Con La Sirenetta siamo del resto nel mondo personalissimo di Timi, dove
tutto deve calarsi all'interno di una sessualità invadente e costantemente
insistita, un universo in cui il sesso sembra, più che un atto vitale, un modo
per resistere ai sentimenti, per respingerli, qualcosa che paradossalmente
conduce alla morte dell'individuo più che all'affermazione della vita.
Il risultato è qualcosa di profondamente contraddittorio: una drammaturgia
dai risvolti tetri, eppure composta da dialoghi fin troppo leggeri; uno
spettacolo corale dove tuttavia l'unica vera voce è quella di Timi; un inno al
sesso che si chiude con una condanna dell'atto sessuale stesso. E anche la
reazione dello spettatore può essere molto confusa. Si può infatti rimanere
affascinati dalle atmosfere dello spettacolo e nello stesso tempo sentirsi
respinti da una drammaturgia che si ostina a galleggiare sulla superficie senza
mai inabissarsi là dove potrebbero veramente risiedere tutte le potenzialità
del lavoro.
La sirenetta
di Filippo Timi
con Filippo Timi, Marina Rocco, Lucia Mascino, Elena Lietti,
Lorenzo Cervasio, Daniele Giulietti, Riccardo Toccacielo, Simone Nobili
Una Produzione Franco Parenti
durata: 30 minuti
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