venerdì 19 settembre 2014

Enrico IV di Franco Branciaroli


La finzione della realtà e la verità della scena.Franco Branciaroli interpreta il capolavoro di Pirandello  

di Felice Carlo Ferrara


Nella ricca stagione del Piccolo di Milano, tra classici e nuove drammaturgie, spicca una produzione del Teatro degli IncamminatiEnrico IV, il capolavoro di Pirandello diretto e interpretato da Franco Branciaroli, negli ultimi anni impegnato in un percorso di riflessione sul mestiere dell'attore e sulla realtà della scena teatrale. Lo spettacolo sarà in scena dal 21 ottobre al 2 novembre. Nell'attesa, ecco la nostra recensione:


Dopo Servitore di scena e Il teatranteFranco Branciaroli prosegue il suo percorso di indagine sull’attore che interpreta se stesso e sul teatro che mette in scena la propria realtà. E dopo due testi brillanti, ma di media statura, Branciaroli è pronto per uno dei capolavori assoluti della nostra drammaturgia: l’Enrico IV di Luigi Pirandello, dove la riflessione metateatrale esula in verità dalla mera descrizione della vita sulla scena e costruisce invece una grande e ampia metafora sul significato generale dell’esistenza e sui meccanismi della società condotta col rigore filosofico tipico di tutta l’opera pirandelliana. Nonostante la monumentalità del personaggio di Enrico IV, la trama del dramma non è architettata per singole individualità che si impongano, ma si incentra sul rapporto tra il singolo e la collettività, una relazione contrassegnata dalla crudeltà e dall’egoismo cinico con cui il gruppo schiaccia il più debole: nella scena il drammaturgo mette infatti uomini e donne dell’alta società che ingannano il tempo con un gioco in maschera in cui ognuno interpreta un personaggio della storia medievale. Lo scherzo, però, si fa terribile quando uno di loro, “reo” di vivere troppo seriamente la propria esistenza e quindi di avvicinarsi troppo pericolosamente alla verità, è fatto cadere da cavallo, vittima di un feroce dispetto. Battuta la testa, l’uomo rimane fissato nel proprio personaggio fittizio, del tutto dimentico della propria reale identità. Ma chi non è effettivamente spogliato del proprio io per subire condizionamenti continui dalla società? Chi è veramente consapevole della propria autentica essenza? Chi veramente vive se stesso, senza lasciarsi infilare in personalità posticce, stereotipate e limitate, imposte dalla società? Chi sa realmente emanciparsi dalla tirannia della società che assegna a ognuno ruoli preconfezionati, quali la moglie nervosa, il marito saccente, la figlia sgarbata, la suocera invadente? Il protagonista del dramma, privato della sua identità da un crudele gioco di gruppo e costretto a indossare per tutta la vita una maschera, non è che l’icona di un processo di cui siamo tutti vittime. Ma Pirandello ci insegna anche una via di uscita: la follia come scelta consapevole e ragionata.



Enrico IV indossa la maschera del folle
Il termine folle è infatti una sorta di zona franca, l’unico nome sotto il quale la società non riesce a imporre alcuna regola, alcun laccio: nessuno sa prevedere il comportamento di un folle, nessuno può dire a un pazzo come deve comportarsi. E così quando Enrico IV recupera ad un tratto la propria lucidità e comprende di essere stato spinto fuori dalla propria vita per quasi vent’anni, costretto a indossare panni che non sentiva propri, decide di tenersi stretto il termine pazzo per contrapporsi orgogliosamente alla società che lo aveva umiliato ed ecco che si fa veramente imperatore della propria esistenza. Conquistata la consapevolezza di come la vita in società sia tutta una commedia, anziché combattere come un tempo per affermare la serietà dell’esistenza contro la farsa voluta della società, Enrico IV accetta di rimanere nel gioco teatrale, ma elevandosi da attore a regista. È lui che orchestra i ruoli di ognuno e questo gli può anche permettere di virare all’improvviso il tono della commedia verso la tragedia.


La scenografia di Margherita Palli immagina il castello di Enrico IV come una sorta di tetro luna park 

Branciaroli allestisce il dramma con giusta devozione verso il grande drammaturgo. Rinuncia così ad ogni modifica del copione e accoglie fedelmente tutte le istanze filosofiche contenute nei dialoghi, valutandone al contempo anche le potenzialità comiche, memore della poetica dell’ironia su cui Pirandello tanto insisteva. Il lavoro maggiore è dunque sull’interpretazione attorale, affidata ad un’ottima squadra in cui, come di consueto avviene, i più grandi spiccano sui giovani: bravissimi in particolare Melania Giglio, Giorgio Lanza, Daniele Griggio e Antonio Zanoletti, capaci di calarsi perfettamente nei ruoli, vivendoli con spigliato realismo, pur spingendo molto le caratterizzazioni, come richiederebbero sempre i testi di Pirandello. Ma, naturalmente, il vero cardine dello spettacolo è Franco Branciaroli, che regala al pubblico un superbo Enrico IV, nel primo atto inquietante pagliaccio dal viso dipinto da una follia di sapore smaccatamente amletico, e poi d’improvviso uomo senza maschere, pervaso da una profonda amarezza, lucido e disincantato osservatore di una società priva di pietàSoprattutto Branciaroli non cade nella tentazione dell’eroe autocompiaciuto, ma restituisce al testo un Enrico IV a tratti persino umile nel confessarsi vittima di una prepotenza di gruppo cui è difficile sfuggire, un uomo che, pur nell’audacia delle proprie azioni, rimane comunque un amante ferito e un sognatore deluso dalla vita. La regia segue sapientemente le metamorfosi del personaggio: si comincia con una scena quasi barocca che accumula con insistenza immagini di cavalli e cavalieri, certamente un’eco dell’origine dell’ossessione in cui il protagonista è rimasto incastrato; poi una musica dal suono cupo spezza il tono leggero, preannunciando una maggiore drammaticità, l’ambiente si trasforma e si cade di colpo in una scena quasi del tutta nuda che fa da sfondo ideale all’uomo che si presenta ormai senza finzioni. Infine, come torna la maschera, ecco riapparire la giostra con tanto di cavalli da luna park. Ed è proprio la bellissima e suntuosa scenografia, opera della brava Margherita Palli, a dare il tocco più originale all’allestimento. Si evitano, infatti, soluzioni naturalistiche, per assumere un taglio più surreale e straniante, di certo molto adatto alla dimensione filosofica del testo pirandelliano. Interessante soprattutto il secondo atto, ambientato in una costumeria, in cui lo psichiatra, con la sua insistente opera di catalogazione degli esseri umani in tipologie fisse, è mostrato allegoricamente come sarto, intento a tessere costumi teatrali.


Il tema del cavallo rieccheggiato con insistenza nelle scenografie 
Da apprezzare, infine, la scelta del CTB e del Teatro degli Incamminati di affrontare una produzione dai costi evidentemente alti: Branciaroli, oltre a circondarsi di ben 10 attori, si permette il lusso di un apparato scenotecnico lussuoso, più facilmente riscontrabile nella realtà lirica che nella prosa. Ma è di certo un coraggio che un attore come Branciaroli può ormai permettersi. Il suo talento istrionico si è guadagnato da tempo un folto stuolo di ammiratori e l’Enrico IV è decisamente uno dei testi più adatti per rivederlo in scena.
Enrico IV

di Luigi Pirandello
Produzione: CTB – teatro stabile di Brescia, Teatro degli incamminati
Con: Franco Branciaroli, Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti, Valentina Violo, Tommaso Cardarelli, Sebastiano Bottari, Mattia Sartoni, Pier Paolo D’Alessandro, Andrea Carabelli, Daniele Griggio.
Scene e costumi: Margherita Palli
Luci: Gigi Saccomandi
Regia: Franco Branciaroli

Durata: 1h, 40 minuti
Visto presso il Teatro Sociale di Brescia

Per approfondire: www.incamminati.it

1 commento:

  1. ...un critico che non si limita a recensire, descrivere e raccontare un'opera teatrale ma disposto a regalare attraverso la scrittura altra poesia allo spettatore...una fusione artistica di alto livello!!! Complimenti e in bocca al lupo!!

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