sabato 27 dicembre 2014

Beauty and the Beast - il musical Disney in Italia

Beauty and the Beast, scoprire Broadway a Milano


di Felice Carlo Ferrara



Quando nel 1991 uscì sul grande schermo il film “Beauty and the Beast”, la critica non acclamò soltanto la bellezza e l’originalità dell’adattamento, ma si dimostrò entusiasta anche dei diversi numeri musicali che rievocavano le più ambiziose produzioni di Broadway. Proprio questi apprezzamenti spinsero la Disney ad aprire a New York una nuova divisione interamente dedicata alla creazione di spettacoli teatrali, capeggiata da Thomas Schumacher, prima di allora responsabile dello studio d’animazione, e ad investire subito un notevole capitale. Cominciò così l’avventura produttiva che avrebbe portato al debutto, nel 1994, della versione musical del celebre film, uno spettacolo che ancora oggi sorprende per l’entità del successo riportato. Si parla infatti di oltre 35 milioni di spettatori, di riallestimenti in 8 lingue diverse e di circa 28000 repliche. Quanto ai profitti, stupisce sapere dallo stesso Schumacher che il musical sarebbe risultato più redditizio del film stesso.



Quest’anno ricorrono i 20 anni dal debutto. Per celebrarlo, la Disney Theatrical Productions ha organizzato la prima tournée internazionale dello spettacolo originale (ridotto in realtà di qualche numero musicale di secondo piano e con una scenografia in alcuni momenti meno imponente), tournée che ha avuto la prima tappa italiana a Trieste, presso il teatro Rossetti, e si è poi spostata all’Arcimboldi di Milano, dove rimarrà fino al 3 gennaio. E se la sala sarà invasa soprattutto dal pubblico delle famiglie e dai numerosi fan del film e delle musiche di Alan Menken, in realtà l’occasione è ghiotta anche per chi voglia conoscere e valutare da vicino la qualità e la professionalità di una produzione di Broadway.



 Lo spettacolo si dimostra subito molto fedele al film originale e certo questa è la prima ragione del grande successo della produzione. Si comincia così con una voce narrante che racconta di come una fata punì l’arroganza di un principe, tramutandolo in una bestia con un incantesimo destinato a durare finché non avrebbe imparato ad amare e a farsi amare a sua volta. Paradossalmente, però, il principe, convinto che proprio quell’aspetto terribile renda impossibile ogni relazione umana, vive il sortilegio come una condanna all’emarginazione, anziché un invito ad aprirsi agli altri. L’azione si sposta, tuttavia, in un piccolo paese di provincia e qui vediamo come Belle, una ragazza al contrario molto attraente, fatichi comunque ad integrarsi, non riuscendo a conciliare la sua mentalità moderna con gli orizzonti ridotti dei propri compaesani. Non solo: l’aitante Gaston, pur dotato di una invidiabile fisicità, deve subire un netto rifiuto dalla stessa Belle, e constatare, suo malgrado, che il suo aspetto esteriore non può dargli tutto quello che desidera.
La solitudine dei protagonisti non può quindi risolversi attraverso la loro corporeità. Al contrario è necessario che affrontino un processo di revisione interiore e che imparino ad avvicinarsi l’un l’altra, riscoprendo il valore della gentilezza, della buona educazione, della compassione e dell’empatia verso l’altro.

  
 Il musical conserva quindi con estrema fedeltà tutti i contenuti sviluppati nella versione animata e sceglie anzi di approfondirli e rafforzarli con l’aggiunta di qualche nuovo numero musicale e alcuni brevi dialoghi che si dimostrano scritti con intelligenza e sensibilità. Di fatto il pregio maggiore di questa produzione, pur estremamente generosa in termini di scenografie, costumi ed effetti scenici, è il testo, curato da Linda Woolverton, già autrice della sceneggiatura originale. Se nel film il momento più commovente arriva sul finale, quando Belle confessa il suo amore ad una bestia ormai morente, nel musical si accumulano scene toccanti per tutta la durata del soggiorno di Belle nel palazzo. Si condivide l’inquietudine di Lumiere e di Cogsworth (Tockins) quando constatano che i loro corpi si irrigidiscono giorno dopo giorno e cominciano così a temere che presto l’incantesimo toglierà loro anche ogni coscienza; si assapora l’amarezza di Belle, quando, trovandosi prigioniera e divisa per sempre da suo padre, si pente di aver disprezzato la sua vita di provincia che, pur con tutti i suoi limiti, non le toglieva comunque la libertà; si prova tenerezza per la Bestia, quando scopre con ingenuo entusiasmo che la lettura di un libro può finalmente distrarlo dal pensiero del suo aspetto fisico.


 Il tutto è peraltro accompagnato dalle musiche sempre splendide di Alan Menken e sostenuto da un cast di attori, cantanti e ballerini validissimi, che non tradiscono le aspettative sulla grande professionalità del teatro di Broadway.




 Tra tutti, meritano di essere menzionati in particolare Hilary Maiberger nel ruolo di Belle, molto convincente anche nei momenti più drammatici, e gli esilaranti James May nei panni di Cogsworth (Tockins) e Jacqueline Grabois in quelli di Wardrobe (l’armadio). Non del tutto condivisibile, invece, la scelta della regia di dare all’interpretazione della Bestia un taglio più leggero e più caricato rispetto al personaggio più cupo e complesso ritratto dal film animato. Allo stesso modo la scenografia e i costumi, ricchi e fastosi, sembrano pensati per assecondare un gusto per un intrattenimento leggero, azzeccato magari per certi numeri come Be our Guest, e meno invece per valutare i tanti risvolti drammatici della vicenda.
Ad ogni modo uno spettacolo consigliatissimo per tutti.

 


Beauty and the Beast 
Produzione: Disney Theatrical Productions, NETworks e Broadway Entertainment Group
 Musiche originali: Alan Menken
Testi: Howard Ashman e Tim Rice
Libretto: Linda Woolverton
Regia: Rob Roth
Coreografie: Matt West
Costumi: Ann Hould-Ward
Luci: Natasha Katz
Scenografie: Stanley A. Meyer,
Suono di John Petrafesa Jr.
Supervisione musicale: Michael Kosarin

http://www.disneysbeautyandthebeast.it

Visto al Teatro degli Arcimboldi di Milano

venerdì 26 dicembre 2014

Giocagiocattolo, il Buratto esplora la fantasia dei bambini



Giocagiocattolo: quando l'immaginazione anima la scena


di Felice Carlo Ferrara

Scende la notte e con il buio si risvegliano le paure peggiori di un bambino; nello stesso tempo, però, la realtà sfuma i suoi contorni così definiti durante il giorno e si lascia contaminare dai sogni. Tra le ombre si animano allora anche le fantasie più belle e, proprio grazie a queste, oggetti silenziosi possono prendere vita e dimostrare un cuore tenero.
Tutto comincia da semplici forme geometriche: un triangolo, un quadrato, una sfera, tre figure essenziali che sotto il potere creativo dell’immaginazione generano un intero universo.
Questo il punto di partenza di Giocagiocattolo, una produzione del Buratto che sceglie come protagonisti un orsacchiotto di pezza con la passione per l’aviazione, una bambola che preferirebbe le cure di una bambina più che i dispetti di un maschietto, un buffo pagliaccio a molle e, infine, l’amico immaginario, un rassicurante compagno di vita prestato dalla fantasia e, nello stesso tempo, proiezione onirica del bambino stesso.
Il soggetto, a un primo sguardo, può non sembrare molto originale; tuttavia il suo sviluppo secondo il tema della fantasia creatrice che anima e riempie man mano uno spazio inizialmente vuoto e buio, rende lo spettacolo particolarmente intrigante e, in diversi momenti, davvero sorprendente per lo spettatore. A ciò si aggiunge una grande attenzione per i contenuti pedagogici che affrontano con delicatezza il tema della paura: una paura prima attribuita al buio e poi ricondotta, passo a passo, alla sua vera origine: la paura di essere abbandonati. Timore risvegliato nel bambino dalla nascita ormai prossima di una sorellina e, in parallelo, acceso nei vecchi giocattoli dall’arrivo di un nuovo pacco regalo che conterrà forse qualcosa di più bello, qualcosa che saprà attrarre tutta l’attenzione e l’affetto del bambino escludendo forse i vecchi compagni di gioco.
Ed è un timore che coinvolge con amarezza anche gli spettatori più grandi, perché lo spettacolo può divenire facilmente una metafora di come il tempo spazza via intere epoche. L’ingresso del giocattolo elettronico segna la fine di un mondo oggi già molto lontano, in cui il divertimento era piuttosto creatività, un uso più attivo dell’immaginazione impresso su cose semplici che sapevano, tuttavia, convogliare i sentimenti più belli. E dunque il senso di solidarietà che lega i giocattoli tra loro e li ripara in parte dalle loro paure e dallo sconforto, risulta infine molto toccante.



Giocagiocattolo è dunque uno spettacolo delizioso ed emozionante, scritto con ironia e intelligenza, capace di incantare il pubblico dei bambini e, cosa rara, di dosare ed equilibrare tra loro leggerezza e impegno nei contenuti. A ciò si aggiunge l’ottima capacità attorale di tutto il cast e il fascino delle marionette, realizzate con spiccato senso artistico.

GIOCAGIOCATTOLO
produzione: Teatro del Buratto
progetto Franco Spadavecchia
testo Beatrice Masini
regia Jolanda Cappi e Giusy Colucci
in scena Marialuisa Casatta, Serena Crocco, Elena Giussani, Nadia Milani
scene e oggetti Marco Muzzolon, realizzati dal Laboratorio del Teatro del Buratto da Marco Muzzolon, Raffaella Montaldo, Mirella Salvischiani
voce recitante Gabriele Calindri
disegno luci Marco Zennaro
musiche a cura di Mauro Casappa
direttore di produzione Franco Spadavecchia

inserito nell'IF festival edizione 2014/2015

domenica 7 dicembre 2014

Come Erika e Omar



Come Erika e Omar - è tutto uno show

di Felice Carlo Ferrara



Il titolo è piuttosto esplicito e sintetizza in sé buona parte della trama. Lo spettacolo, un musical sviluppato in due atti, si ispira infatti al delitto di Novi Ligure apportando solo qualche variazione per spingere la vicenda su toni più aspri.
Nella prima parte si introduce lo spettatore in una immaginaria cittadina di provincia, denominata antifrasticamente Santa Serena. Qui si concentrano tipi umani variamente deprecabili: donne fedifraghe, politici corrotti e preti venali. In questa avvilente realtà vive la famiglia tutt'altro che esemplare in cui si consumerà la strage, una famiglia composta da un imprenditore disonesto, una moglie emotivamente instabile, un ragazzino dai marcati tratti autistici e l'adolescente Jessica, che a conti fatti risulta la figura più consapevole e matura del gruppo. Proprio lei veste i panni della protagonista che, desiderosa di liberarsi della mediocrità e della soffocante meschinità delle persone che la attorniano e del peso dato dalla presenza di un fratellino problematico, vede infine nell'omicidio una soluzione al suo malessere e un modo per affermare il suo grido vitale nella periferia più mortifera. Lo slancio decisivo per passare all'azione le è dato dalla complicità a dire il vero poco convinta del fidanzato Christian, con il quale desidera vivere un'appasionata storia d'amore svincolata dai pregiudizi classisti dei genitori.
Ecco quindi che in una notte avviene il triplice delitto.
Jessica deve poi affrontare l'interrogatorio della polizia, ma, per sviare i sospetti, può facilmente cavalcare l'onda di xenofobia che attraversa il paese. Il suo percorso verso la libertà si inceppa però quando interviene un testimone oculare e quando la debolezza caratteriale unita a un mordente senso di colpa spinge Christian a confessare.



Il secondo tempo racconta invece la reazione spregiudicata dei giornalisti alla vicenda, che, lungi da una valutazione umana del delitto, si concentrano esclusivamente sulle potenzialità date dal delitto in termini di oppurtinità di carriera e di guadagno economico. Lo stesso vale per i compaesani che si consolano in fretta della tragedia, sviluppando una sorta di brand per lo sfruttamento commerciale della vicenda. Si avvia quindi una grande macchina mediatica che inizialmente sembra ridare a Jessica un nuovo slancio alle sue speranze, portandola sulle vette vertiginose della fama e del guadagno facile, e che infine rivela anche a lei il suo lato mostruoso: quel freddo cinismo che mercifica le persone e con la stessa rapidità le dimentica. Ecco dunque che in questa prospettiva il verdetto si mostra rovesciato, cosicché nello spettacolo il vero carnefice appare l'intera società che giudica il delitto e poi lo cavalca per i suoi fini opportunisti, piuttosto che la persona che lo consuma per difendere i propri desideri. Ma se questa realtà oscura può apparire allo spettatore troppo meschina e deprimente, interviene il cielo stesso e i suoi angeli per cercare di convincere che il nostro inferno è comunque più allettante del paradiso, dove la bontà dei santi non si sposerebbe troppo con la goliardia o il sex appeal.



Lo spettacolo si avvale di un gruppo attorale validissimo sia sul fronte del canto che su quello recitativo. Spicca in particolare, nei panni di Jessica, Gea Andreotti, che, oltre alle evidenti doti canore, si dimostra capace di alternare sul palco grandi spinte aggressive e improvvisi lampi di malinconia. Tutti gli interpreti, ad ogni modo, si spendono con energia e dedizione. Apprezzabili anche le scelte scenografiche, tutte giocate su una dosata essenzialità, e la regia firmata da Enzo Iacchetti, evidentemente molto abile nel dirigere gli attori. Molto piacevoli, efficaci e sempre orecchiabili, infine, le musiche composte dal maestro Francesco Lori.
Proprio il livello professionale molto alto di tutto il cast, tuttavia, avrebbe potuto spingere la produzione verso pretese più alte. I dialoghi si risolvono invece in battute e situazioni dal taglio demenziale, ristagnando in scene stereotipate e indirizzando così lo spettacolo a un pubblico più dozzinale che medio.
Infine chi temesse che questo spettacolo possa offendere qualcuno per il soggetto trattato, potrà consolarsi nel sapere che ogni scena accumula indelicatezze tali da rendere trascurabile la scelta di spettacolarizzare l'omicidio.

 COME ERIKA E OMAR - È TUTTO UNO SHOW 
Con: Massimiliano Pironti, Gea Andreotti, Paola Lavini, Manuele Colamedici, Gustavo La Volpe, Paola Giacometti, Matilde Facheris, Michele Savoia, Giada Lorusso, Marco Massari, Fabrizio Coniglio, Chiara Anicito.
Regia: Enzo Iacchetti | Musiche: Francesco Lori | Liriche: Tobia Rossi | Regia Tecnica: Alessandro Tresa | Coreografie: Alessandra Costa | Costumi: Mary Mataloni | Disegno Luci: Alessandro Molinari | Suono: Alessandro Turella | Scenografie: Gaspare De Pascali | Direzione Musicale: Francesco Lori | Arrangiamenti: Danilo Ballo | Edizioni Musicali Immaginazione | Assistente Regia: Chiara De Pisa | Comunicazione: Luca Bensaia | Management: Mauro Iacchetti | Ideazione Grafica: Maestro Marco Lodola



La mia massa muscolare magra



La mia massa muscolare magra: 
l'uomo ormai privo di orizzonti metafisici

di Felice Carlo Ferrara



I padri della nostra cultura, da Dante a Manzoni, hanno sempre costruito i loro insegnamenti etici e morali su una solida fede cristiana e su una forte adesione alla filosofia antica e moderna. In un'epoca in cui l'artista è spesso ateo e piuttosto restio alla filosofia, diviene molto arduo per lui non solo darsi un codice etico, ma anche raggiungere una dimensione esistenziale che sappia andare al di là dei meri bisogni fisici e del semplice sfogo sessuale. È quanto ci hanno raccontato grandi figure come Moravia, Fellini o Antonioni con ritratti di uomini che, superati i limiti di una morale assunta passivamente dal cattolicesimo, non sapevano poi che dissiparsi in esistenze vuote e distruttive, annullando le proprie potenzialità intellettuali per dedicarsi ad incontri sessuali svuotati di ogni affettività. I quadri da loro composti non erano tuttavia del tutto desolanti, perché dimostravano ancora una capacità di autoanalisi profonda e carica di dignità.
Lo sconforto sarebbe invece più grave se si dovesse constatare nell'artista un venir meno anche di una visione profonda della realtà, tanto da rendere l'ampiezza della sua riflessione più ridotta di quella della persona comune. La sua funzione sarebbe infatti inutile.


Daniele Pitari in La mia massa muscolare magra

Tobia Rossi, tra gli autori scelti per la rassegna Trame d'autore tenutasi al Piccolo di Milano e dedicata alle nuove voci della drammaturgia contemporanea, con lo spettacolo La mia massa muscolare magra riprende il discorso sulla condizione dell'uomo privo ormai dei condizionamenti morali di un tempo e incapace tuttavia di trovare un equilibrio e di dare un senso alto alla propria esistenza.



Al centro del dramma un attore la cui vita si riduce ad una ricerca inesausta di incontri sessuali consumati in fretta e spogliati di ogni affettività. Complice il mondo virtuale di internet, che, grazie ai suoi orizzonti infiniti, può moltiplicare all'inverosimile le occasioni di discesa nell'abisso della ninfomania. La rete può infatti divenire un vero e proprio oceano, sconfinato e affascinante, ma infine anche estremamente ripetitivo ed alienante. Così il protagonista, affondando in continuazione lo sguardo nelle onde della virtualità, trova sì le chiavi di accesso per aprire tante e tante porte che nella realtà rimarrebbero sbarrate, ma, superato ogni uscio, anziché trovare una soluzione alla sua cronica insicurezza, subisce invece un appiattimento della propria identità e un progressivo svuotamento umano. Perché il cuore è un muscolo che richiede esercizio, e più viene abbandonato, più si restringe.
Superare ogni senso di colpa verso la sessualità non è quindi una gran conquista, se nel contempo si smarrisce una dimensione spirituale o intellettuale e si fatica a raggiungere un equilibrio interiore.
Ma cosa si nasconde infine dietro l'affanno del protagonista? Il desiderio di correggere, respingere e cancellare un'immagine di sé maturata nell'infanzia che non poteva rispondere ai canoni di apprezzamento di una società superficiale.


Come altri lavori di Tobia Rossi, anche questo spettacolo è stato portato in scena da Manuel Renga di Chronos 3, che realizza qui una regia piuttosto elegante: uno spazio bianco ed essenziale è occupato da sedie vuote e trasparenti che evocano il senso di solitudine mai esplicitato, ma comunque al centro del testo. E appena si arresta il fiume di parole del protagonista, brevi proiezioni video invadono la scena riempiendola e provocando un forte impatto nello spettatore. Un ottimo lavoro di luci, inoltre, valorizza e supporta con sapienza la narrazione.
A questo si aggiunge l'intensa interpretazione di Daniele Pitari, già apprezzato protagonista di Portami in un posto carino (spettacolo ancora firmato da Tobia Rossi e Manuel Renga), e anche qui capace di passare con disinvoltura da registri comici a momenti drammatici, mantenedo sempre una lodevole naturalezza e dando un buono spessore al personaggio.
Quel che può lasciare perplessi è la drammaturgia. Si riscontrano di fatto più dovizia e prolissità nel descrivere i rapporti oro-genitali, che nell'approfondire la questione di fondo. Il male esistenziale del protagonista fatica così ad assumere una dimensione universale e viene infine a mancare un messaggio da lasciare al pubblico che vada al di là della premessa presa di distanza dal sesso facile.
Infine la scelta di concentrare tutta l'attenzione su un unico personaggio negativo di orientamento non eterosessuale fa cadere lo spettacolo nel rischio che lo spettatore medio legga il dramma come un ritratto grottesco e impietoso di tutto il mondo omosessuale, avvalorando chi automaticamente associa l'omosessualità alla promiscuità più disinvolta, alla superficialità e alla perversione. In una società che stenta ancora a rinunciare all'omofobia, assumersi rischi di questo tipo è quantomeno inutile.
Peraltro da una compagnia teatrale che comprende più elementi di orientamento omosessuale è lecito aspettarsi più sensibilità al problema.

La mia massa muscolare magra
 drammaturgia: Tobia Rossi 
regia: Manuel Renga 
con Daniele Pitari 
assistente alla regia e video editing: Andrea Finizio 
scene e luci: Aurelio Colombo 
produzione CHRONOS3

Spettacolo nato in occasione della residenza della compagnia CHRONOS3
presso gli spazi di Residenza Idra a Brescia nel 2014
Presentato in anteprima nazionale a Brescia
nella sezione Open Up del Wonderland Festival 2014

Selezionato nella sezione della Giovane Drammaturgia Italiana
al Festival TRAMEDAUTORE 2014 Outis/Piccolo Teatro di Milano

Visto presso il Teatro Libero di Milano


sabato 6 dicembre 2014

Il Giovane Giorgio Strehler


Ricordando Giorgio Strehler


Giorgio Strehler può essere considerato a buon diritto il padre del teatro di regia in Italia e di certo è stato la figura più importante per l'affermazione di una realtà stabile nel panorama teatrale italiano. Non solo un artista fondamentale, quindi, per l'affermazione di un gusto moderno e raffinato sulla scena, ma anche un esempio di impegno civile serio e continuativo.
Per questo è importante che la sua personalità continui ad essere oggetto di studio nel nostro paese. Segnaliamo quindi con piacere un nuovo saggio che si focalizza sui primissimi passi della sua carriera.
Il nome di Giorgio Strehler, è infatti abitualmente associato al Piccolo Teatro, fondato nel 1947, e alla città di Milano. Il suo esordio alla regia, però, avvenne prima, durante la Seconda Guerra Mondiale, con due spettacoli rappresentati a Novara in un teatrino ormai abbandonato. Ne Il giovane Strehler. Da Novara al Piccolo Teatro di Milano riscoprire quegli eventi ormai lontani, indagarne le origini e le conseguenze e analizzarne il contesto diventa l’occasione per approfondire un periodo umano e professionale poco conosciuto dell’artista triestino – allora attivo anche come attore e teorico teatrale – nonché la vita culturale di Novara e di Milano e la realtà teatrale italiana della prima metà del Novecento, fra tradizioni dure a morire e novità che faticavano a radicarsi.
Il volume si avvale di un intervento iniziale di Stella Casiraghi, promotrice e organizzatrice culturale che ha collaborato a lungo con il Piccolo Teatro e ha curato l’edizione critica di molti inediti di Strehler, ed è impreziosito da un nutrito apparato iconografico e da interviste a personaggi della cultura locale e nazionale come lo storico e critico d’arte Raul Capra, il musicista Folco Perrino e l’attore Gianrico Tedeschi.
L'autrice é Clarissa Egle Mambrini, che al suo attivo conta già saggi di cinema e teatro pubblicati dalla EOS Editrice: Risaia in celluloide, nel volume In grembo alla Terra – Affreschi sul mondo contadino (2007), C’era una volta il Cinema e Su il sipario!, nell’opera L’incredibile Novecento – Viaggio italiano nel secolo breve (2011).




Il giovane Strehler. Da Novara al Piccolo Teatro di Milano
di Clarissa Egle Mambrini
Con un intervento di Stella Casiraghi
Lampi di stampa, Vignate (MI)
Ottobre 2013
pp. 366
Prezzo di copertina € 24,00