lunedì 9 marzo 2015

La vocazione di Danio Manfredini



Riunire la morte con la vita nel sacro segno della vocazione

di Monica Ceccardi


Un vecchio claudicante avanza verso il proscenio sulle note di Ridi pagliaccio. E’ l’anziano attore feticcio di Thomas Bernhard, Minetti. Vuole recitare ancora una volta Re Lear, ma ha paura, perché tutti gli artisti hanno paura. Lui sa di essere stato folle a votarsi in gioventù all’arte drammatica, infatti ha smesso, e da trent’anni coltiva verdure, tuttavia vuole essere ancora una volta Lear. Però zoppica, si soffia il naso, e se ne va. Ecco Danio, spogliato, scorticato, che grida al cielo con delicata disperazione il Monologo del non ne posso più di Mariangela Gualtieri. E di nuovo viene risucchiato dal vortice, riassorbito dalla malia dei suoi personaggi. Maschere stranianti di lattice trasformano lui e il suo perfetto compagno di scena, Vincenzo Del Prete, in Nina e Kostja del Gabbiano di Cechov. I corpi come marionette scomposte si sfiorano con grazia, portando la loro croce, fino allo sparo finale fuori scena, un palloncino, Kostja muore, e Nina si scioglie in danza. Ora è Danio a danzare, a correre, a cadere, a diventare Amleto, a gridare il suo essere o non essere. Corre, cade, si rialza, con la musica che cresce. E così sarà durante tutto lo spettacolo: un viaggio negli inferi di questa santa e puttana vocazione dell’essere attore. Servo di scena di Harwood, Il canto del cigno di Cechov, Un anno con 13 lune di Fassbinder, scorrono con la musica, nella carne degli interpreti, e gonfiano le emozioni degli spettatori. Sopra tutto e tutti sembra di sentire aleggiare la presenza del Teatro, che osserva placidamente gli attori che ogni sera per lui si mangiano la vita, nel carcere teatrale che si sono inflitti. L’unica soluzione è il suicidio? No, vivere, vivere, si canta e si danza, vivere è come un comandamento. Se ci provi, ci riesci, sognatore, ascolta il vecchio attore Svetlovidov di Cechov: dove ci sono arte e talento, non esistono né vecchiaia, né solitudine, né malattie, e persino la morte conta per metà.
Sul finale un’ultima struggente figurina in bilico su zeppe di strass, ali d’angelo rosso fuoco e accento slavo ci chiede: Posso aiutarvi? Riunite la morte con la vita. Posso aiutarvi?
, ci hai aiutato, Danio, ci hai commosso, ci hai ricordato la meravigliosa, terribile, potente fragilità della creazione, che è dono vivo. E il tuo amore per la scena, nell’ansia di perdersi, ha trovato ancora una volta, ancora per questa sera, la certezza di aversi.
Lunghi e commoventi applausi alla fine, per questo viaggio di Manfredini nelle viscere di se stesso, della sua vocazione, e nelle viscere di questo luogo/non luogo incantato che è il teatro.



Vocazione
ideazione e regia Danio Manfredini
progetto musicale Danio Manfredini, Cristina Pavarotti, Massimo Neri
con Danio Manfredini, Vincenzo del Prete
luci Lucia Manghi, Luigi Biodi
collaborazione ai video Stefano Muti
produzione La Corte Ospitale

Visto al Teatro Camploy di Verona
il 27 Febbraio 2015

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