venerdì 6 febbraio 2015

Elio De Capitani alla regia di Improvvisamente l'estate scorsa

 Improvvisamente l'estate scorsa, Elio de Capitani e il diorama di Tennesse Williams



di Felice Carlo Ferrara


Mrs Venable, ricca vedova rimasta sola dopo il lutto improvviso del figlio Sebastian, promette a un neurologo un cospicuo finanziamento a patto che operi una lobotomia ai danni della nipote Catherine; la ragazza, a suo parere, mostra segni di instabilità psichica da quando, l'estate dell'anno precedente, ha assistito alla morte del cugino Sebastian avvenuta in un'isola spagnola in circostanze poco chiare.
Pur desideroso di accettare l'offerta e di accrescere la propria fama di neurologo all'avanguardia, l'uomo teme che la ricca vedova voglia usare il proprio potere economico per mettere a tacere una ragazza in realtà sana, allo scopo di mantenere linda la memoria del figlio che la donna idealizza come poeta casto e generoso. Alla voce della signora Venable si incrocerà in seguito quella contrastante di Catherine, la cui verità irromperà nel mondo candido dipinto dalla vedova, riportando alla luce tutte le brutture e le crudeltà che si vorrebbero negare.


Anche questo testo di Tennesse Williams, come molte altre opere del drammaturgo americano, affronta il motivo della follia, sviluppandolo con profonda ambiguità. Il tema terrorizzava lo scrittore e al contempo l'affascinava. Questo per la visione contraddittoria che ne aveva: la follia era per lui la minaccia dell'irrazionalità sulla mente, oppure solo un aspetto incompreso della fragilità umana degna più di ammirazione, che di persecuzione. Proprio in questa fragilità, infatti, Williams vedeva la bellezza maggiore dell'umanità, la sua spiritualità, qualcosa di tanto prezioso, quanto delicato, qualcosa destinato inevitabilmente ad essere oppresso e distrutto da chi, invece, esercita, con apatia sconcertante, una forza schiacciante.
La vita non è dunque che lo scontro fatale tra instabili anime candide e irruenti forze brutali.
Questa riflessione tragica è l'anima stessa di Un tram che si chiama desiderio, ma solo in Improvvisamente l'estate scorsa le istanze autobiografiche che si celano dietro questo pensiero si fanno più evidenti: Catherine, la protagonista costretta in discutibili istituti psichiatrici e poi minacciata di lobotomia, è una rievocazione carica di angoscia della sorella di Tennesse Williams, Rose, chiusa in un ospedale psichiatrico nel '38 e poi ridotta ad uno stato vegetativo proprio a causa di una lobotomia ordinata dalla stessa madre dello scrittore. Con questo dramma Williams denuncia così in modo forte e accorato la degenerazione dei rapporti familiari e insieme della medicina psichiatrica, senza concedere alcuna attenuante all'ignoranza dei tempi; al contrario ha il coraggio di mettere a fuoco il cinismo crudele che deve nascondersi dietro chi esercita tanta violenza, un cinismo a volte motivato dalla venalità, a volte invece da forme di gelosia morbose celate nei rapporti familiari, sentimenti di certo più pericolosi della stessa follia.


L'intero discorso può inoltre divenire una metafora dell'omofobia, della volontà di cancellare la diversità vista come debolezza o deviazione sconveniente. La maggior parte della critica si concentra principalmente sull'omosessualità di Sebastian, la cui misteriosa morte è il centro di tutto il dramma e la cui assenza fisica è di per sé significativa di quanto per la società possa o non possa comparire. Assenza anche simbolica della volontà della madre di cancellarne la fisicità, per farne puro pensiero poetico e filosofico e non ammetterne, così, l'orientamento sessuale. Nel dramma, di fatto, la donna lamenta più i versi mancati del ragazzo, che la sua perduta vitalità.
Tuttavia il significato più profondo del dramma risiede, forse, nell'ambiguità e nella doppia anima di Sebastian: candida vittima sacrificale in un mondo ancora lontano dalla civiltà, secondo il racconto della madre, o egli stesso carnefice, affascinante manipolatore e avido consumatore di rapporti carnali, secondo le rivelazioni della cugina Catherine. Identità opposte che tuttavia non devono escludersi a vicenda, ma coesistere, per comprendere l'animo tormentato del drammaturgo.
Se si volesse istituire una relazione tra Tennesse Williams e la figura di Sebastian, infatti, il tratto che li accosterebbe in misura maggiore non sarebbe tanto l'omosessualità o la creazione poetica, quanto piuttosto l'assenza, l'assenza egoista nei drammi delle fragili Rose e Catherine: la volontà di autoaffermarsi e il desiderio di scoprire la proprià identità sessuale e poetica aveva infatti allontanato Williams dalla sorella, che pure sapeva debole e indifesa, lasciandola sola nelle mani di una madre gelida, per mettere se stesso al centro della propria esistenza, così come Sebastian, nella sua insaziabile ricerca di vita e verità, inaridisce paradossalmente ogni rapporto umano e si impone infine come unico centro del proprio universo, riducendo tutti a semplici satelliti e divenendo così involontario motore della tragedia che si consumerà poi ai danni di Catherine, costretta in istituti psichiatrici. Non solo un atto d'accusa verso la violenza della società, quindi, ma anche un doloroso e amaro mea culpa da parte dell'autore per le proprie responsabilità e, nel finale consolatorio, un tenero tentativo di soccorso della sorella che, se non poteva più avvenire nella realtà, poteva almeno realizzarsi sulla scena.


Elio De Capitani torna oggi su questo testo già affrontato nel 2011 e inserito in un percorso su Williams che comprende nelle sue tappe anche una messa in scena di Un tram che si chiama desiderio con la grande Mariangela Melato e del meno noto La discesa di Orfeo.
Seppure la fama di Tennesse Williams sia soprattutto legata ai traguardi maggiori dell'Actor Studio e all'approfondimento di Strasberg del metodo di Stanislavskij, in questo allestimento Elio de Capitani si allontana dai toni naturalistici per cercare nelle interpretazioni un taglio melodrammatico. La scelta era forse obbligata, dato che in Italia il celebre metodo non si è mai veramente affermato; il risultato è una serie di personaggi stilizzati e semplificati che non sempre si incastrano bene con le esigenze del testo, al contrario complesso, sfuggente e costruito su difficili equilibri. Il gruppo attorale contiene comunque dei buoni elementi, tra cui spiccano le figure secondarie tratteggiate con abilità e leggerezza da Corinna Augustoni ed Enzo Curcurù.
Di grande impatto la scena, ottenuta efficacemente seguendo l'idea del diorama, ovvero della dettagliata ricostruzione scientifica di habitat tridimensionali in cui inserire ed esporre esemplari di creature selvagge all'osservazione analitica degli spettatori. Il concetto è inoltre completato da una ricca partitura sonora che fa irrompere sulla scena terribili versi selvaggi, strida e grida le cui origini rimangono ignote, ma che riflettono evidentemente le anime nere del dramma, con effetto a tratti espressionistico. L'idea evidenzia esaurientemente la visione della vita di Williams, in cui, come in una giungla, prevalgono ancora i rapporti di forza sul tentativo di realizzare una civiltà basata sulla solidarietà.


 Improvvisamente, l'estate scorsa
di Tennesse Williams
traduzione di Masolino D'Amico
regia di Elio De Capitani
scene di Carlo Sala
costumi di Ferdinando Bruni
con Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Cristian Giammarini, 
Corrina Agustoni, Enzo Curcurù, Sara Borsarelli
luci di Nando Frigerio
suono di Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell'Elfo 
Visto presso il Teatro Elfo Puccini di Milano

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