venerdì 6 febbraio 2015

Ero, il nuovo spettacolo di Cesar Brie



"Ero": Cesar Brie racconta se stesso


di Felice Carlo Ferrara


Dopo una inesausta ricerca teatrale condotta per anni, ora accostandosi a grandi classici della letteratura, ora affrontando scottanti tragedie della nostra attualità, ora analizzando gravi mali sociali, Cesar Brie con il nuovo spettacolo Ero sposta lo sguardo su se stesso, per affrontare la realtà della propria maturità e tentare un bilancio della propria vita, se non addirittura un autoritratto che restituisca parte della sua identità.
Il regista disegna quindi sulla scena una grande x, al cui centro mette se stesso, uomo e attore, e sulla cui periferia fa invece riemergere le figure dai cui incroci è derivata dapprima la sua nascita e quindi la sua esistenza, con le sue scelte e le sue caratteristiche peculiari. A ognuno di questi fantasmi è concesso un tempo breve, secondo un linguaggio sintetico che abbozza i protagonisti con pochi segni e poche parole e fermando solo quei momenti che si sono fissati maggiormente nella memoria. Così della figura paterna ascoltiamo soprattutto il silenzio con cui esprimeva la propria riservatezza, scopriamo la passione per i libri, forse l'eredità maggiore lasciata al figlio, e d'un tratto la confessione dell'amore per la famiglia strappata durante un evento temibile che, paradossalmente, si muta in uno dei momenti più teneri e necessari, prima che la morte lo spazzi via.
Ancora si susseguono la madre, la sua anaffettività e la depressione che la allontana dai figli, quindi la nonna, l'orgoglio per la sua bellezza e l'ironia sulla sua vanità, i fratelli, le sorelle, i primi baci e, naturalmente il teatro. E proseguendo in questo viaggio fatto di ricordi, l'io si allontana man mano dalla cerchia familiare per confrontarsi col mondo esterno. Lo sguardo, dunque, si allarga e Cesar Brie supera i limiti di un racconto intimistico, restituendoci anche efficaci finestre sulla nostra realtà in cui si affacciano gustose caratterizzazioni che fotografano lo snobismo delle classi sociali più alte o la meschinità della nostra politica.


Il percorso tracciato dal regista argentino non è tuttavia lineare, ma piuttosto circolare, come spesso accade alle parabole delle nostre esistenze: così alla spinta per l'emancipazione, data forse dalla delusione degli affetti familiari, segue una rinnovata delusione per la vita artistica, dura e solitaria quando viene a mancare una rete solidale tra società, politica e artisti, e quindi una rivalutazione della sfera affettiva. In questo cammino a spirale, forse l'unico perno stabile è l'io bambino, quello da cui si tenta di fuggire per realizzare il sé adulto, ma che spesso si rimpiange e che probabilmente racchiude il segreto della nostra reale identità.
Come sempre Cesar Brie realizza uno spettacolo ben equilibrato, in cui ogni momento drammatico si controbilancia con improvvisi slanci di ilare vitalità e dove l'uso intelligente dell'ironia trova il modo giusto per realizzare i necessari trapassi da una atmosfera all'altra. Così anche nel linguaggio teatrale, si ritrova la consueta sapienza del regista argentino per cui la parola, l'immagine e l'interpretazione non si scavalcano mai tra loro, ma, al contrario, concorrono per realizzare al meglio e nel modo più completo il momento scenico.

Ero
scritto, diretto e interpretato da Cesar Brie
scene e costumi: Giancarlo Gentilucci
musiche: Pablo Brie
disegno luci: Daniela Vespa
burattino di Tiziano Fario
assistenza: Marco Rizzo, Tiziana Irti, Claudia Ciuffreda
residenza: Teatro Nobelperlapace
produzione: Arti e Spettacolo, Cesar Brie. 
In collaborazione con Teatro Stabile d'Abruzzo

Visto presso Campo Teatrale di Milano


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